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Jam – Join The Ageless Mind: come riavviare un dialogo costruttivo tra le generazioni in azienda

Nov 7, 2022

Una volta le aziende cercavano persone da assumere: bastava pubblicare un annuncio di lavoro e dall’altra parte i candidati erano pronti a rispondere inviando cv, con l’auspicio di essere scelti per sostenere i colloqui e sperando di poter rimanere in quell’azienda per sempre, magari fino alla pensione. Oggi questo processo così lineare sembra essere scivolato nel passato remoto, di fronte al fluttuare di un mare in tempesta agitato da fenomeni sconosciuti fino a qualche anno fa: dal pensiero YOLO (il “si vive una volta sola”) alla Great Resignation (le grandi dimissioni), passando per il quiet quitting – ovvero “mi limito a fare il compitino, faccio il minimo indispensabile all’interno del mio posto di lavoro” – e per il crollo del senso di appartenenza rispetto alla propria organizzazione, da parte soprattutto dei giovani e giovanissimi, come ha certificato recentemente Randstad.

La multinazionale olandese che si occupa di ricerca, selezione e formazione di risorse umane, ha recentemente certificato che il boom delle dimissioni degli ultimi 18 mesi in Italia è avvenuto tra gli under 40 (44% del totale, negli ultimi 18 mesi), con la stragrande maggioranza dei Millennials (i nati tra il 1980 e il 1995) che decidono di andar via per svariate ragioni: sovraccarico di lavoro, ma soprattutto perdita di punti di riferimento e demotivazione. 

Il fattore preoccupa non poco i responsabili delle risorse umane, già alle prese con vari altri disallineamenti tra domanda e offerta di lavoro, come recentemente sottolineato dal Rapporto “Education at a glance 2022” dell’OCSE. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha evidenziato che l’emergenza pandemica ha peggiorato il gap negli apprendimenti, con un diplomato su due che è uscito da scuola senza possedere le competenze base in italiano, matematica e inglese, e che ha ampliato la platea di «Neet», i giovani che non studiano e non lavorano: nella fascia d’ età 25-29 anni siamo arrivati al 34,6% nel 2021, ancora più su del 31,7% del 2020, mentre in quella 20-24 anni siamo al 30,1 per cento. A pagare il prezzo più alto – e anche questa non è purtroppo una novità -sono state le donne. A questi dati emergenziali si aggiunge che il 23% dei ragazzi ha abbandonato la scuola senza arrivare al diploma (14% media Ocse) e che, ancora oggi, appena il 3% dei nostri 18-24enni vanta esperienze di lavoro durante gli studi (17% media Ocse).

Serve un cambiamento di paradigma in azienda

Elementi che da un lato rendono ancora più intricato e frastagliato l’accesso al mercato del lavoro, mentre dall’altro evidenziano un profondo cambiamento di paradigma anche in azienda, dove si fa una gran fatica ad attirare e poi trattenere i talenti, e perfino a far dialogare costruttivamente senior e junior, portatori di istanze ed esigenze così differenti. L’osservazione dei fenomeni in atto sta producendo profonde riflessioni; un’idea per limare questi disallineamenti è Jam – Join the Ageless Mind. Tradotto: un miscuglio, una “marmellata”, un qualcosa di ibrido e contaminato (nel senso più nobile del termine) per far dialogare “menti senza età”, non più divise o contrapposte dalla barriera anagrafica.

E’ una piattaforma, un servizio di consulenza e al tempo stesso l’innesco per generare un nuovo movimento culturale: lo ha ideato “The European House – Ambrosetti”, un’istituzione nel campo della consulenza del pensiero strategico, attivo fin dal 1965 e che oggi può contare su oltre 250 professionisti.

Responsabile di Jam è Alessandro Braga, senior consultant dell’organizzazione: “I fenomeni che hai citato li vediamo concretamente frequentando le aziende, vivendo essenzialmente h24 dentro le dinamiche del lavoro e soprattutto delle aziende medio grandi e grandissime. Il portato della pandemia è stato forte e ci ha fornito un momento di grande riflessione, perché poche cose sono cambiate così potentemente come il modo di lavorare. E questo cambiamento ha provocato tante faglie, non necessariamente tutte relative al mondo dei giovani, ma sicuramente profondissime. Questa frizione di cui parlavamo ci preoccupa, e pensiamo sia urgente fare qualcosa per porvi rimedio. Da questa considerazione nasce Jam”.

Imprenditori e manager da un lato, spesso costretti a rincorrere le emergenze, giovani dall’altro che non si sentono ascoltati, compresi, considerati. E così il lavoro diventa qualcosa che lascia in secondo piano la ricerca di senso, di significato, la conquista di una soddisfazione personale, oltre che professionale.

“Quello che facciamo con Jam sono essenzialmente due cose, ipersemplificando: la prima è scoperchiare il problema, far venir fuori i bias, le distorsioni, i silenzi, le incomprensioni (perché parlarne davvero non è così semplice); e poi cerchiamo di abilitare dei modi giusti di lavorare insieme, dove per giusto intendiamo spazi collaborativi e costruttivi in cui si parla una lingua veramente comune. E questo vale in tutte le direzioni: per imprenditori e manager, ma anche per quei giovani che molto spesso fanno fatica ad esprimersi nei canali e nei modi migliori per essere ascoltati; e quindi bisogna lavorare anche su di loro, per cui creiamo delle modalità ingaggianti, per mescolare la disomogeneità e farla diventare elemento comune su cui remare tutti dalla stessa parte. Perché pensare che le aziende debbano portarci la felicità è un tema bello ma ingombrante; diciamo che le organizzazioni ci dovrebbero coordinare e aiutare a produrre qualcosa di valore, che abbia un senso non solo per il mero aspetto che va dal compito alla retribuzione”.

Ci stai dicendo che il tema può rimanere carsico, sottotraccia all’interno delle aziende? Eppure leggiamo numeri incredibili su dimissioni, abbandoni, cambiamenti rapidi. E come noi li leggono anche imprenditori, manager, responsabili delle risorse umane. O no?

“Bella domanda. E’ così, paradossalmente. Quando parliamo con le aziende il tema viene fuori soprattutto nella fase di recruiting (selezione) – quando si ha difficoltà nel dialogare su richieste che fanno leva sulla flessibilità estrema, che non è facile da assorbire o da comprendere da parte delle aziende – e nell’on boarding (neo assunzione, ingresso in azienda), mentre le reali criticità, magari sotto forma di dimissioni, arrivano dopo qualche anno (3-4 anni sono in media il tasso di caduta): il che significa che vanno via persone formate. E’ come se il ragionamento dell’organizzazione fosse limitato alla soddisfazione di aver individuato le persone giuste e di averle inserite in azienda, per poi dimenticarsene o tralasciare aspetti di dialogo che dovrebbero essere continui. Quando arriva la frizione o la rottura, ci si rende conto di non aver costruito il rapporto professionale sui binari idealizzati, e a quel punto è troppo tardi. E’ proprio in questa falla che Jam cerca di inserirsi, lavorando sullo stare insieme, sul senso di comunità, sulla crescita delle competenze”.

Azienda come agente educativo e formativo, insomma

“Non è un concetto nuovo, ma va ripreso e attualizzato perché c’è tantissima voglia di essere formati, di poter crescere. E vedere l’azienda come agente educativo (e non solo come classico datore di lavoro) cambia di fatto tante cose, anche come ci misuriamo in termini di performance e di senso di appartenenza. Da organizzazione verticale e gerarchica diventa laboratorio in cui tutti imparano da tutti: una sorta di “miscuglio” produttivo che produce risultati e dà piacere nel fare le cose, dando una sorta di empowerment a tutti”.

Il ruolo della scuola

Per anticipare questo processo, Jam sta pensando di andare a realizzare delle attività all’interno delle scuole superiori, là dove si dovrebbe formare la cultura del lavoro, da incrociare quando si esce dai banchi e si entra in azienda.

“Sì, questo tema è molto sensibile per noi e abbiamo deciso di supportare gli studenti nelle scelte di orientamento, sia agli studi che nei primi passi a livello professionale. Pensiamo di poter portare qualcosa di nuovo, insieme ad altri partner che si occupano di questa faglia, e che ci sia tantissimo da fare per cambiare l’immaginario che si sviluppa in quel passaggio tra studio e lavoro. E’ proprio un gioco di immaginazione, quando si deve scegliere qualcosa che non si conosce. E se l’immaginario è molto distante dalla realtà, si fa davvero fatica a gestire quel momento di caduta delle aspettative. Vorremmo intervenire lì, maturando consapevolezza e avvicinando gli studenti al mondo del lavoro e alle sue dinamiche, lavorando sul rinforzo e sullo sviluppo delle competenze che poi saranno presenti in azienda: perchè chi inizia a lavorare oggi – e questa è una novità, non ne siamo molto abituati in azienda – è un apprendista ma a sua volta è portatore di competenze; magari sono superpoteri che non si maneggiano ancora, di cui non si ha piena contezza per mancanza di esperienza e della visione dall’alto, ma che nell’organizzazione possono essere molto utili. 

E’ presto per fare bilanci?

“Siamo al giro di warm up, ma allo stesso tempo stiamo già lavorando in tanti contesti aziendali, portando la cultura e le professionalità di “The European House – Ambrosetti” che, in sé, hanno uno storico lungo e prestigioso. Quindi arriveremo probabilmente per fine 2022 con con qualche coordinata in più, anche grazie ad una serie di iniziative che vogliamo lanciare per sviluppare conoscenze e consapevolezza, come Open Jam, un grande evento che chiamerà a raccolta migliaia di giovani per ascoltare le loro istanze. Sarà un Festival sul futuro del lavoro in cui creare davvero un momento di ascolto per ricevere tanti suggerimenti utili. Perché, lo dico spesso, è sempre facile sottolineare cosa non va, mentre è molto più difficile proporre soluzioni, inventarsi delle alternative. La logica Open jam è proprio un mix aperto di pensiero e di ingaggio per generare un nuovo entusiasmo sul lavoro e su cosa vorremmo possa diventare nei prossimi decenni. Perché il bello di lavorare e di imparare a fare qualcosa, è farlo sempre meglio”.

Magari anche con il sorriso e con un senso di profonda soddisfazione. Perché no? 

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Vito Verrastro
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