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Violenza domestica e Covid-19: dai dati alle soluzioni

Apr 23, 2021
Violenza domestica

Oltre alla pandemia di Covid-19, nell’ultimo anno è cresciuta in modo esponenziale anche la violenza domestica. A confermarlo sono gli ultimi dati Istat: in Italia, tra marzo e ottobre 2020, il numero delle chiamate all’1522 è aumentato del 71,7% rispetto al 2019.
Sempre secondo l’Istat, le richieste d’aiuto all’1522 tramite chat sono triplicate: se nel 2019 tra marzo e ottobre sono state 829, negli stessi mesi del 2020 sono salite a 3.347.
Sono raddoppiate anche le chiamate via telefono, sia da parte delle donne direttamente interessate sia da terze persone. Sono cresciute del 65,7% anche le richieste di informazioni sui Centri Anti Violenza. Nella maggioranza dei casi (91,8%) l’esecutore della violenza è stato il partner o un ex.
C’è un altro dato che desta preoccupazione: di tutte le donne che hanno chiesto aiuto, solo il 14,2% ha effettivamente sporto denuncia. Probabilmente, è stato complice il contesto famigliare in cui si sono verificati i maltrattamenti, con tutte le conseguenze che una denuncia comporterebbe anche su eventuali figli a carico.

Come riporta Action Aid, tra marzo e giugno 2020 i centri antiviolenza hanno registrato una drastica diminuzione delle richieste d’aiuto. Con l’estate c’è stata la ripresa, nonostante le grandi difficoltà dei centri, sia economiche sia logistiche: non solo mancano i fondi, ma c’è stata anche una forte riduzione dello staff, ad esempio in Lombardia, per via del rischio di contagio delle volontarie di età medio-alta o per la quarantena imposta a molte operatrici.

Progetto Viva: monitorare gli interventi di prevenzione e contrasto alla violenza domestica

Il Progetto Viva, che monitora gli interventi di prevenzione e contrasto alla violenza in Italia, ha realizzato l’indagine “I centri antiviolenza ai tempi del coronavirus”. I risultati risalgono a maggio 2020 e si sono basati su 335 centri antiviolenza dislocati su tutto il territorio. Ci dicono che la maggioranza dei centri ha lavorato soprattutto da remoto; infatti, solo il 5,7% è rimasto fisicamente accessibile alle donne. Fortunatamente, nella maggioranza dei casi sono rimasti invariati i rapporti tra i centri e chi già aveva iniziato un percorso per uscire dalla violenza, ma il 38% delle donne non l’ha portato avanti con costanza, causa stretto contatto con i maltrattanti. Il 78% dei centri antiviolenza ha notato, rispetto agli anni precedenti, una drastica diminuzione (di circa la metà) di nuove richieste d’aiuto. La stessa tendenza è stata rilevata anche dai centri della Rete D.i.Re.

Inoltre, il Dossier Viminale restituisce un dato che fa paura: il lockdown ha triplicato i femminicidi. Negli 87 giorni di isolamento forzato (9 marzo – 3 giugno 2020) ci sono stati 58 omicidi in un contesto famigliare. Di questi, 44 sono stati femminicidi: ogni due giorni una donna veniva uccisa. Nei restanti 14 casi le vittime sono state di genere maschile. Il rapporto Eures sul femminicidio inquadra anche la distribuzione geografica dei femminicidi: il maggior incremento (+9,5) si è verificato nel Nord Italia. In particolare, sono Lombardia e Piemonte ad avere il triste primato: la prima con 15 femminicidi familiari e il secondo con 14 vittime, in grande crescita rispetto al 2019. Le due regioni insieme coprono il 36% dei casi nazionali. Il 13,5% delle donne uccise è coniugata o convivente.
Viceversa, i numeri sono calati al Centro-Sud: – 12,5% al centro e -22,2% al Sud rispetto al 2019.


Dati Istat sulla violenza domestica

Quali provvedimenti in Italia?

Il messaggio che l’Italia ha voluto trasmettere, e rinnova in questo ennesimo periodo di isolamento, è che le donne possono comunque sottrarsi alla violenza e chiedere aiuto.
È stata messa in campo anche la campagna di comunicazione “Libera puoi”, promossa dal Dipartimento per le Pari Opportunità a sostegno delle donne vittime di violenza. “La porta per uscire dalla violenza si può sempre aprire. Libera puoi” è il claim della compagna che ha coinvolto nove artisti: Caterina Caselli, Paola Cortellesi, Marco D’Amore, Anna Foglietta, Fiorella Mannoia, Emma Marrone, Vittoria Puccini, Giuliano Sangiorgi e Paola Turci. Ricorda l’1522, numero anti violenza e stalking, attivo anche tramite app, ma anche i centri antiviolenza e le case rifugio. Infatti, sempre nel rispetto delle norme igienico-sanitarie, hanno continuato e continuano a garantire il più possibile supporto alle donne e interventi di contrasto e prevenzione, nonostante siano stati investiti da enormi difficoltà non solo logistiche, ma anche economiche. In alcune regioni, come a Roma, sono stati coinvolti, anche ostelli, alberghi e B&B. Spesso è stata adottata questa soluzione per un’insufficienza di posti all’interno delle case rifugio o dei centri antiviolenza, a riprova di quanto su tutto il sistema si debba ancora lavorare, a partire dagli aiuti da parte delle istituzioni. (Qui è disponibile una mappa dei centri antiviolenza presenti sul territorio nazionale Dipartimento per le Pari Opportunità )

Le farmacie sono rimaste tra i pochi esercizi sempre aperti alla cittadinanza, per di più dislocate in modo capillare su tutto il territorio, e sono diventate un punto di riferimento fondamentale. Il 1 aprile 2020, infatti, è stato firmato un protocollo d’intesa tra la Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, e la Federazione Ordini dei Farmacisti, Federfarma e Assofarm. Da quel momento le farmacie si sono impegnate ad esporre a scopo divulgativo presso il proprio esercizio il numero antiviolenza 1522 e anche a diffondere delle linee guida informative con cui aiutare le donne a muoversi in sicurezza in caso di violenza. Ancora oggi, le farmacie si stanno muovendo in questa direzione. Un esempio arriva dalla Toscana, dove gli scontrini di alcune farmacie comunali e private riportano al fondo: “Se sei vittima di stalking o violenza chiama il 1522”. Di recente anche a Città di Casello è stata avanzata questa proposta.

È doveroso segnalare Guida alla solidarietà di vicinato stilata da Chayn Italia, piattaforma che contrasta la violenza di genere attraverso strumenti digitali e pratiche collaborative. Fornisce consigli pratici per supportare le donne che vivono una situazione di violenza all’interno del vostro palazzo o quartiere.
Nelle singole regioni d’Italia sono stati attivati tanti sportelli d’ascolto, ma anche iniziative artistiche e culturali per non lasciare sommerso il fenomeno della violenza e provare a contrastarlo.

Che cosa succede negli altri paesi?

Fuori dall’Italia il quadro non migliora. Infatti, le segnalazioni di abusi sono cresciute ovunque almeno del 30%. La violenza domestica è stata riconosciuta a livello internazionale come una piaga, che troppo spesso non si vede, aggravata dall’isolamento forzato. Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, lo scorso 25 novembre ha detto: “Nella Giornata internazionale per porre fine alla violenza contro le donne ribadisco il mio appello a porre fine a questa pandemia ombra una volta per tutte”.

Anche Francia e Spagna hanno adottato soluzioni che coinvolgono le farmacie: le donne in difficoltà, già nel primo lockdown, potevano chiedere al bancone «masque 19» o «máscara 19», che non esiste in commercio, ma è diventato un messaggio in codice per chiedere aiuto, sempre accanto ai numeri antiviolenza dedicati.
In questi ultimi giorni c’è un gesto che si sta diffondendo a livello internazionale ed è arrivato anche in Italia. Si chiama “Signal For Help” ed è stato ideato da due organizzazioni canadesi già nella prima fase della pandemia, come mezzo con cui le donne potevano segnalare gli abusi. Consiste nel piegare il pollice verso il palmo della mano, tenendo le altre quattro dita in alto e poi chiuderle a pugno. È diventato virale tramite un video diffuso in un tam tam social internazionale.


Il gesto di Signal for Help consiste nel piegare il pollice verso il palmo della mano, tenendo le altre quattro dita in alto e poi chiuderle a pugno.

Da alcuni contesti è stato accolto positivamente e diffuso; altri non l’hanno ritenuto adeguato. Ad esempio, Oria Gargano, presidente di BeFree cooperativa sociale contro tratta, violenze, discriminazioni, dice: «È inadeguato e pericoloso, perché continua a rappresentare le donne come delle stupide, che non sono capaci di fare niente se non un gesto con la mano, non si sa nemmeno rivolto a chi». Anche l’associazione D.i.Re mette in guardia sull’efficacia e consiglia di fare sempre riferimento a chi lavora sulla violenza, prima di lanciare altri segnali a chi non ha competenze in materia. Il video diffuso, spiegano, «presuppone che al segnale parta un protocollo di intervento «che di fatto non esiste» e in alcuni casi rischia di diventare addirittura pericoloso.

Probabilmente il gesto è stato pensato per le donne che hanno pochi contatti con l’esterno e nessuna possibilità di rivolgersi ai centri antiviolenza. Allora, può essere usato ad esempio nel corso di una videochiamata. In casi di estrema necessità, potrebbe essere un mezzo a disposizione, anche se quello più sicuro ed efficace resta sempre l’intervento di chi è competente.
Indubbiamente ci sono dei rischi. Se viene divulgato, e addirittura diventa virale, non è più un segnale silenzioso e discreto e non granisce più la sicurezza della persona. Poi, chi lo recepisce potrebbe non essere in grado di decodificarlo, oppure il gesto potrebbe essere travisato da persone non competenti. C’è anche il rischio che venga usato in modo inopportuno o addirittura per gioco o per scherzo da chi non dà il giusto peso al problema. Attenzione ed empatia, sempre.

Federica Carla Crovella
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