Il 20 giugno, con la collega professoressa Melania Mento, siamo stati relatori di un importante evento internazionale organizzato dall’Università Marie Curie di Lublino (Polonia). Siamo intervenuti in collegamento alla Giornata della Ricerca ed io ho avuto la possibilità di parlare ancora una volta dei modelli culturali nella società digitale.
Il dinamismo che accompagna il concetto di Modernità, in conseguenza dell’impatto della tecnologia nei processi sociali, ha trasformato il senso stesso della Modernità.
Anthony Giddens, sociologo e politologo britannico, sostiene che il dinamismo della modernità deriva da tre fattori: la separazione del tempo e dello spazio e la loro ricombinazione in forme che permettono una precisa delimitazione di “zone” sistemi sociali l’ordinamento e il riordinamento riflessivo dei rapporti sociali alla luce dei continui input di sapere che interessano le azioni degli individui e dei gruppi.
Ecco, la tecnologia sempre più parte integrante del nostro quotidiano sta di fatto alimentando lo svuotamento del senso del tempo. Il distanziamento sociale, che la digitalizzazione dei processi relazionali sta mettendo in atto, introduce comportamenti basati sul distanziamento sociale che annullano il senso del luogo, inteso come l’ambiente fisico nel quale si realizza l’attività sociale, facendo prevalere il concetto di “spazio vuoto”.
Questi effetti sono fortemente caratterizzanti delle modalità di interazione sociale in particolare di preadolescenti e adolescenti. L’emotività è centrale nella loro vita tanto che considerano la partecipazione ai social altamente sociale. Non esiste più una dimensione online – offline, spazio e tempo non sono più separati, quanto piuttosto la dimensione temporale appare annullarsi nello spazio che trova una sua nuova delimitazione negli algoritmi che guidano gli ambienti social e le app.
L’era della filter bubble
La società digitale rappresenta l’era della filter bubble, quella in cui le piattaforme sfruttano quell’annullamento dei confini che altera profondamente la capacità di comprensione del contesto da parte degli individui. La società delle piattaforme, come definita dai sociologi Jan A.G.M. van Dijk, Thomas Poell, Martijn de Waal, è caratterizzata dal generare conflitti tra sistemi di valori diversi e dal muoversi sulla base di dinamiche opache.
L’ iper-connessione come regola, evidenzia poi che le vite dei ragazzi sono il frutto di una sorta di appificazione, che è strategia ed esercizio di sopravvivenza al tempo stesso. Strategia, perché l’obiettivo primario non è costruzione di dialogo, ma di acquisizione di consenso. Sopravvivenza, perché la vetrinizzazione e l’io perfomativo alimentano la spettacolarizzazione della propria vita. Gli adolescenti sono un “prodotto” di quest’era della disinformazione: vittime del sistema delle fake news, ne diventano protagonisti ritenendo “normale” utilizzare il falso per i propri scopi. Così la crescita di autonomia e libertà individuale ha comportato una progressiva disabilitazione del ruolo dell’altro.
Assistiamo alla proliferazione di fenomeni sempre più estremi e caratterizzati da comportamenti violenti e che riguardano in modo particolare il mondo degli adolescenti, basti pensare al cyberbullismo, al bullismo, al sexting, al body shaming e alle challenge (sfide assurde e pericolose).
In tutti questi atti è ravvisabile in parte quello che potremmo definire un disimpegno morale e un’incapacità di relazionarsi con l’altro, vittime di quel falso potere che la disintermediazione sembra offrire.
La logica dei processi comunicativi è io-centrica
Oggi, siamo di fronte ad una logica di processi comunicativi fortemente individualizzata e io-centrica. La condivisione di valori in funzione del raggiungimento di mete sociali condivise appare indebolita. Le tensioni sociali alle quali stiamo assistendoci mostrano come una componente chiave della definizione stessa di capitale sociale appaia fortemente fragilizzata, ed è proprio quella connessa al ruolo della fiducia.
La disintermediazione ci ha illuso di poter agire senza regole, convinti di essere al centro, dotati di potere. Le regole sono invece un pilastro fondamentale, perché ci consentono di attuare un processo di interiorizzazione che porta anche all’evoluzione delle regole stesse, ma in un quadro condiviso e non in un Far West di sopraffazioni e disinformazione che manipola le coscienze degli individui, in particolare delle giovani menti in costruzione. In tal senso diventa fondamentale riflettere sul quale ruolo deve rivestire l’etica nella società digitalizzata, quali domande l’individuo è chiamato a porsi rispetto alla sua identità sociale e al suo ruolo nella comunità.
Queste trasformazioni sociali sottolineano come sia stato messo in crisi il concetto di capitale sociale. Il capitale sociale, in ambito sociologico, individua l’insieme di regole, norme, valori e organizzazioni che agevolano la collaborazione all’interno di gruppi o tra gruppi sociali diversi. Il capitale sociale come risultato dell’appartenenza a reti sociali elitarie mostra tutta la sua fragilità: reti sociali quasi inesistenti, legami deboli che evidenziano la distribuzione diseguale dello stesso, vantaggi che non si propagano in modo egualitario, come conseguenza anche del crescente divario d’accesso agli strumenti di conoscenza.
Una tecnologia che controlla e dà origine al capitalismo della sorveglianza come definito da Shoshana Zuboff, sociologa e saggista statunitense. Le tendenze narcisistiche, l’ego performativo, l’iperconsumismo stanno dando vita a un diverso ordine sociale, che pone al centro quella che Zuboff definisce “la divisione dell’apprendimento”.
Gli elementi della divisione dell’apprendimento di Zuboff
Gli elementi che la caratterizzano sono: la tendenza all’isolamento, la forte propensione a mettere in mostra la propria vita, l’iper-connessione, un evidente uso distorto della tecnologia attraverso l’uso di profili falsi che creano opacità e spesso innescano comportamenti polarizzanti e violenti. L’atteggiamento aggressivo e violento viene individuato anche nel “revenge porn”. Un fenomeno che si è acuito durante la pandemia.
Il revenge porn mostra il volto dei rapporti affettivi alterati e disfunzionali e trova ampio margine di diffusione in rete, dove le immagini viaggiano velocemente e senza la reale possibilità di essere eliminate.
Mi sono occupato di questo fenomeno nel libro che firmo con la collega Carmela Mento, “La violenza in un click” edito da FrancoAngeli. Un volume in cui è possibile trovare un’ampia disamina del fenomeno osservato a partire da riflettori di competenze diverse: da quella sociologica, in cui ha origine un substrato di comunicazione e semplice diffusione di immagini, a quella psicologica, in cui è possibile rintracciare tutte le informazioni utili al riconoscimento delle dinamiche relazionali disfunzionali e patologiche, fino a quella giuridica, con le relative conseguenze in termini di diritto. Un’importante lente informativa che servirà a riconoscere schemi e atteggiamenti disfunzionali e a prevenire comportamenti e atti altamente lesivi dell’immagine, dell’intimità e della moralità, che talvolta possono raggiungere l’apice della sofferenza e del disagio psichico con alto rischio suicidario per le vittime.
L’utilizzo della rete durante la pandemia ha favorito numerosi problemi latenti come la Cybercondria ossia la costante ricerca di informazioni online, per ottenere informazioni relative alla salute. Ciò è stato associato all’uso problematico dei social media e a vari problemi psicologici. In tutto questo ha avuto un ruolo fondamentale la disinformazione e i giovani sono apparsi come le vittime del sistema delle fake news, utilizzate per i propri scopi.
Una fragilità dei processi educativi, le separazioni familiari, la disgregazione familiare, l’identità fluida e il poliamore nelle nuove generazioni ha cambiato ogni prospettiva culturale rispetto al passato.
Una costruzione del sistema relazionale che viene caratterizzato da estrema fragilità. Tanta la solitudine che è esplosa, e continua ad esplodere, in tutta la sua criticità con un impatto profondo sui preadolescenti e gli adolescenti.
L’era digitale ci chiede di analizzare i comportamenti sociali che possono generare deviazioni e rischi, come conseguenza della semplicità e velocità di fruizione offerte dalla tecnologia che tendono ad annullare il tempo della riflessione, strumento essenziale nel processo di crescita e costruzione identitaria. Bisogna capire quale modello educativo si sta attuando dentro e fuori la scuola e se si sta passando dalla costruzione della coscienza critica alla performatizzazione dell’apprendimento.
Paolo Crepet, psichiatra, opinionista e psicoterapeuta, più volte ha evidenziato quanto gli adulti siano disorientati e i giovani sempre più isolati. “Oggi i genitori fanno le stesse cose che fanno i figli. Usano le chat, si mettono in posa sui social. Mai successo nella storia dell’umanità” queste le parole di Crepet.
Allora, dobbiamo ristabilire i ruoli, assumerci le responsabilità e tornare ad educare bambini e ragazzi. Il progresso tecnologico deve essere uno strumento utile alla crescita delle nuove generazioni e noi adulti abbiamo il compito di essere la loro guida.
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