Qualche giorno fa una mamma mi raccontato che il suo bambino di nove anni si è chiuso nella sua stanzetta e ha deciso di provare ad essere uno Youtuber. Ha utilizzato il canale YouTube della mamma per fare una diretta e ha tranquillizzato gli utenti del canale dicendo: “Non vi preoccupate se leggete il nome di mia madre, perché sono io e potete mettere il vostro like”. Insomma, ha deciso di avere questo momento di gloria e soprattutto di progettare la sua diretta online.
Basti pensare a cosa sta accadendo rispetto al tema dei baby influencer: bambini che non avendo compiuto 13 anni non potrebbero avere un profilo social e che invece spinti dai genitori o per loro iniziativa postano foto personali sulle piattaforme virtuali alla ricerca del consenso del pubblico. Le motivazioni molto spesso sono legate ai guadagni perché, di frequente, li vediamo vendere prodotti per guadagnare un po’ di denaro.
Questo tema è stato affrontato da diversi canali nazionali anche internazionali e i dibattiti sono stati davvero tantissimi. Non dimentichiamoci che anche un grande manager, Lele Mora, aveva sponsorizzato un baby influencer.
Non possiamo non pensare ai figli di Chiara Ferragni e su di loro si continua a discutere. Il Codacons nel 2019 presentò un esposto corredato da un dossier contro i vip e ha scritto nella nota: “Sulle piattaforme web sono sempre più di sovente pubblicati contenuti che immortalano minori, finanche neonati, ritratti talvolta seminudi o in pose o situazioni ambigue ed allusive, con il risultato di trasformare gli spazi virtuali in un postribolo in cui i più piccoli potrebbero rimanere vittime dell’illecito trattamento dei propri dati personali, nonché, ancor peggio, di fattispecie di reato ben più gravi. Immagini che immortalano minori in tenera età, senza l’adozione di alcun tipo di accorgimento, ai soli fini esibizionistici o di lucro. Come rappresentato da moltissimi psicanalisti interrogati sul tema, i bambini, una volta cresciuti e alle prese con la propria rete sociale, su quelle piattaforme, si ritroveranno dotati di un fardello di contenuti digitali impropriamente pubblicati nel corso degli anni dai genitori. Senza, ovviamente, che il soggetto più importante della relazione – il bambino – abbia avuto alcuna possibilità di dire la sua”.
Quasi tutti abbiamo atteso la nascita dei figli di Chiara Ferragni e abbiamo vissuto insieme a lei ogni momento della sua gravidanza dall’ecografia al parto. La piccola Vittoria ancor prima di nascere è stata seguitissima su Instagram e i follower hanno scommesso, per mesi e mesi, sul nome della secondogenita dei Ferragnez. Oggi, è una baby influencer e viene seguita dai follower della madre per la sua dolcezza e la sua simpatia.
Quando gli influencer sono tutti in famiglia
La tendenza ad utilizzare i bambini risulta essere molto diffusa e consueta. Il programma televisivo “Le Iene”, nel 2022, ha trasmesso un servizio di Nicolò De Devitiis . L’ inviato ha incontrato alcuni bambini che in Italia trascorrono la loro vita davanti ad uno smartphone per pubblicizzare prodotti. Un’intera famiglia con papà, mamma e figli influencer, pronta a guadagnare attraverso la rete.
Gli influencer che hanno la capacità di attrarre clienti non pagano la merce che pubblicizzano, perché le aziende provvedono ad inviare gratuitamente i prodotti.
Gli influencer si chiamano influencer perché attraverso i loro messaggi su Instangram riescono a convincere con le loro parole, e con una potente capacità comunicativa, tutte le persone che li seguono e i bambini sanno veicolare bene gli annunci.
Questi prodotti entreranno a far parte delle storie, dei post o dei video per essere venduti. Un vero e proprio business che viene consumato dagli adulti e dai bambini. I bimbi pensano di giocare e per loro è un gioco gradevole, ma non sanno che questo gioco li vetrinizza e che si esibiscono per un ritorno economico dei genitori.
I rischi ci sono? Certo, indirizzare un bambino verso la vetrinizzazione significa anche esporlo alla costruzione di un io iperfluido. L’estrema fluidità si trasforma in fragilità quando si concretizza nel bisogno di incontrare il gradimento degli altri come unico obiettivo. Le relazioni social sono spesso caratterizzate da un’estremizzazione delle emozioni e la ricerca continua di forti sensazioni. Purtroppo, quando non arriva il consenso degli utenti si innesca nel adulto e nel bambino uno stato di insoddisfazione e di tristezza.
Provare a ragionare sul perché si sia diffuso questo fenomeno non ci darà le risposte che vogliamo. Rendiamoci conto oggettivamente che siamo stati superati dai tempi. Non c’è da stupirsi sono i nuovi codici, i nuovi linguaggi e i nostri figli digitali.
Cosa ne pensano i “boomer”
Noi boomer siamo lontani da queste dinamiche e fatichiamo a comprendere la Generazione Z ed è per questo che quando viene evidenziato il ruolo dei baby influencer le nostre reazioni non sempre sono positive. In effetti, non è cambiato nulla i bambini in passato facevano le pubblicità e sono stati utilizzati per le promozioni televisive. Ogni tanto si scatenava una battaglia su alcuni casi specifici, voluta da alcune associazioni che scendevano in campo per salvaguardare alcuni valori. Adesso, il livello di attenzione si è abbassato, rispetto a quando c’era solo la televisione, dato che internet ha sdoganato diverse barriere e ci siamo abituati a convivere con questa nuova realtà.
I bambini si mostrano come “adultizzati” che si atteggiano, sfilano, cantano, ballano e lo fanno convincendosi di essere delle vere e proprie web star. E poi ci sono i genitori che li utilizzano per promuoversi o promuovere prodotti. È scandaloso, è giusto, è opportuno è consigliabile? Questo dipende dai nostri valori e dal nostro modo di educare i figli ma abbiamo una certezza: siamo entrati in un’altra era e dobbiamo imparare ad accettarla. È urgente dar vita ad una “Scuola per Genitori” per guidare le “vecchie generazioni” alla scoperta dei pericoli e delle opportunità della rete.
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