Ormai è trascorso un anno da quando, per la prima volta, abbiamo sentito parlare di Covid-19. I giornali ci riportano, giorno dopo giorno, quello che abbiamo vissuto e che in realtà stiamo ancora vivendo. Immagini terribili che scorrono veloci sugli schermi dei nostri cellulari o delle nostre televisioni, emozionandoci e facendoci capire che questa battaglia non è ancora finita. Il lockdown ha cambiato la nostra vita e le nostre abitudini, ma quel che non riusciamo a ritrovare è la fiducia unita ad una buona dose di ottimismo.
Prima l’infodemia, poi la psicodemia e adesso il pessimismo diffuso.
L’articolo pubblicato di recente sul Domani dal ricercatore Enzo Risso affronta un tema molto importante, soprattutto in questo momento, che è quello di un pessimismo oltre ogni confine.
Risso riporta i dati della Ipsos global advisor che ha pubblicato a Washington, a fine febbraio, i risultati della ricerca Covid-19 one year on: perceived threats and expectations in 8 countries, realizzata in Australia, Canada, Francia, Germania, Giappone, Russia, Regno Unito e Stati Uniti. In quasi tutte le nazioni coinvolte nell’indagine emerge come il pessimismo abbia travolto i cittadini. In pochi ritengono che la sconfitta del Covid-19 sia vicina. L’Australia ha un numero più alto di ottimisti, passati dal 19 per cento di febbraio 2020 al 24 per cento di gennaio 2021. Negli Stati Uniti il numero di ottimisti è rimasto fermo al 21 per cento, ma in tutti gli altri paesi i numeri non sono confortanti. In Russia i fiduciosi sono scesi dal 33 al 24 per cento. In Germania sono diminuiti dal 20 per cento al 15. In Francia ancora peggio dal 16 per cento al 9. Nel Regno Unito si è passati dal 16 al 10 per cento. In Giappone il numero degli speranzosi è piombato dal 15 al 9 per cento e in Canada il dato si concentra dal 15 all’11 per cento.
In sostanza, la maggioranza delle persone ritiene che la lotta al virus continuerà ancora per molto tempo e poi c’è quell’enorme fetta di popolazione che non crede sia possibile debellare il virus. Gli unici ad essere ancora fiduciosi sono gli americani e i canadesi.
Quando finirà la pandemia da Covid19?
Nel nostro paese i cittadini collocano la fine della pandemia all’autunno del 2022 (quindi per altri 17 mesi), ma un sesto dell’opinione pubblica ipotizza una lotta di anni contro il virus.
Questo altissimo livello di sfiducia e di scoraggiamento viene fuori dall’aver preso coscienza della gravità della situazione e dell’aggressività del Covid-19. Trascorso un anno i dati sul livello di rischio medio – alto per la propria nazione è cambiato. L’Australia è l’unica che ha una bassa percezione di pericolosità del Covid-19 che si attesta al 29 per cento. Tutte le altre nazioni mostrano percentuali altissime rispetto allo scorso anno e in Giappone il livello d’allarme è fra i più alti (72 per cento).
Gli italiani hanno una consapevolezza del rischio Covid-19 del 76 per cento e quindi siamo in vetta alla classifica, in compagnia del Regno Unito.
Dall’analisi, sottolinea Risso, la presa di coscienza della pericolosità del virus per la propria nazione non viaggia in parallelo con la possibile minaccia per sé stessi.
L’Italia si colloca al terzo posto, con 34 punti di differenza tra quanti avvertono il pericolo del virus per sé stessi e quanti avvertono il rischio per il paese (42 per cento contro il 76 per cento).
Covid-19: ci manca la fiducia?
Questo atteggiamento ci porta a non rispettare le norme di sicurezza, a non mettere correttamente la mascherina, a creare assembramenti e a non porre attenzione alle regole che ci vengono imposte dai vari Dpcm.
Il problema, a mio avviso, è sempre lo stesso la mancanza di fiducia che rappresenta uno dei beni collettivi più alti e indispensabili per una società. La perdita di fiducia comporta una risposta più lenta ai problemi e per cercare di risolvere le difficoltà, di oggi e di domani, è necessario riuscire a reagire in qualche modo.
Ecco, perché non riusciamo a superare questa terribile fase di pessimismo. I problemi legati alla comunicazione hanno portato ad una perdita dei punti di riferimento più importanti, rendendo i cittadini sempre più fragili e confusi. Troppi cambi di rotta hanno portato alla crisi dell’autorevolezza degli esperti e delle fonti. Nell’era social tendiamo a condividere ogni notizia, molto spesso senza nemmeno leggerla, incrementando le nostre e le altrui paure. Vaghiamo nel mare magnum delle Fake news all’interno di una situazione caotica e vacillante. Io non so bene di chi sia la colpa e ho smesso anche di chiedermelo, ma la comunicazione istituzionale non ha dato risposte chiare ed esaustive alla popolazione. In Italia è avvenuto, e avviene tutt’oggi, un continuo balletto di leggi, numeri e dati che hanno continuamente destabilizzato la popolazione.
Come se non bastasse abbiamo riposto le nostre speranze sui vaccini e non sono mancate le polemiche. AstraZeneca si? o AstraZeneca no? Dopo un momento di assoluto caos e la sospensione temporanea del vaccino AstraZeneca, il 18 marzo, l’EMA ha comunicato che non è dimostrato un legame stretto con eventi di tipo trombotico: “Il vaccino AstraZeneca è sicuro, efficace, i benefici sono superiori ai rischi ed escludiamo relazioni tra casi di trombosi e la somministrazione dei sieri”. Via altro giro e altra corsa, abbiamo tirato un sospiro di sollievo e adesso attendiamo che in Italia riprendano le inoculazioni.
È necessario ricominciare a vivere e possiamo farlo solo cercando di far fronte ad un evento che ci ha sconvolti, adattandoci al cambiamento con tanta, anzi tantissima, resilienza. P. Coelho scriveva: “Non posso perdere l’unica cosa che mi mantiene vivo: la speranza” e noi non dobbiamo smettere di sperare che tutto possa evolversi in maniera positiva. Dobbiamo farlo per noi stessi e per le persone che amiamo.
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