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NEWS48: una promessa mantenuta

Mar 4, 2021
news48

Le promesse vanno mantenute. Ho ricevuto questo insegnamento dalla mia famiglia e ho cercato di onorarlo. Credo sia importante farlo. Non sempre si riesce, certo, ma sempre abbiamo la possibilità di mettercela tutta. Potrebbe volerci più tempo ma non importa: il viaggio nelle esperienze è ciò di cui abbiamo davvero bisogno. E il risultato, poi, diventa la risposta.


Ho capito di voler fare la giornalista durante il primo anno di Università. Fino ad allora, ricordo, di non avere mai avuto chiaro in mente quale professione svolgere. Durante gli anni della scuola elementare, agli adulti che mi chiedevano cosa volessi fare da grande, rispondevo: «voglio scrivere, leggere, viaggiare e dire alle persone che il mondo è un posto bello in cui vivere». Ho portato con me questa visione fino a che l’ho trasformata in una professione: il giornalismo. Nessuno in famiglia aveva intrapreso questo percorso e trovo che questo sia stato un ulteriore motivo di crescita e di scoperta per me. La gavetta, in quegli anni, era molto impegnativa. Ho ricordi di momenti in cui ho pensato di non essere all’altezza e altri in cui mi sembrava incredibile che io potessi definirmi giornalista. Con il tempo ho compreso che l’essere all’altezza è una questione di punti di vista e che io avevo scelto questa professione. L’ho sempre sentita mia e dopo aver raggiunto questa consapevolezza ho anche compreso che non avrei potuto svolgere altra professione al mondo.


Come molti colleghi ho iniziato la mia carriera in un giornale locale: cronaca. La palestra migliore dicono, e forse è davvero così. Non ne sono ancora convinta al cento per cento, ci penserò su. Di sicuro di quel periodo porto con me un grande insegnamento che ha designato il mio perché. Avevo 19 anni, il mio caporedattore mi affidò un pezzo: intervistare la moglie di un uomo, deceduto da pochi giorni, che aveva rappresentato un punto di riferimento importante per la comunità. Una personalità di grande valore che aveva lasciato modelli etici e progetti costruttivi. Ero giovane e il caporedattore mi diede tutti i suggerimenti necessari e le domande da fare: Come stava la famiglia? Come vivevano questa perdita? Quali erano state le ultime parole del marito e padre? Come aveva vissuto gli ultimi giorni della sua vita? «Queste sono le domande che ti porteranno a scrivere un pezzo di cronaca degno di essere letto. I lettori voglio questo: crogiolarsi nel dolore degli altri» mi disse prima di lasciarmi andare. Non ero convinta, lo confesso, ma stavo imparando.


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Nelle nostre esperienze c’è il nostro perché


Arrivai a casa dei protagonisti del mio articolo. Mi aprì la porta una bella signora di circa 60 anni con un volto trafitto dal dolore e dalla preoccupazione. Quella che negli anni a seguire avrei visto spesso ogni qualvolta una persona in preda a un dolore veniva avvicinata da un giornalista. È l’espressione di chi sa che è arrivato il momento di scavare nel proprio cuore per cercare quello che più fa male. Le sorrisi ma senza essere ricambiata. «La stavo aspettando, si accomodi». La signora sembrava preoccupata. Io ero a disagio. Ci raggiunsero i figli. Ricordo di aver tirato fuori il mio taccuino, la matita e la voce. «Voglio che sappiate che mi spiace molto per la vostra perdita e che il signor P. era un uomo molto amato nella nostra comunità. Vorrei che ai lettori del giornale restassero il suo esempio e i suoi insegnamenti». La signora appariva ancora diffidente e preoccupata. Scossa e spaventata. Io, abbassando il volto sul taccuino, posi la prima domanda: «Quale, tra i doni lasciati alla nostra comunità, è stato il più sentito da suo marito?». Passò qualche secondo. Silenzio. Occhi negli occhi. I figli stringevano la mano alla mamma. Io ero in bilico tra la voce del mio capo redattore che mi chiedeva da dove avessi tirato fuori quella domanda inutile e quella della mia coscienza che mi urlava «brava!». La signora tirò su le spalle, che fino a quel momento erano state curve, guardò in volto i figli, guardò me e mi donò un sorriso che non ho mai più scordato.

Qualcosa è cambiato in quel momento. Lei iniziò a parlarmi di suo marito: come erano nati i progetti che aveva realizzato, quali i suoi più cari, quali non aveva fatto in tempo a realizzare sebbene avesse lasciato a lei tutte le indicazioni per farlo. L’intervista andò avanti su questa strada: quali insegnamenti aveva lasciato ai suoi figli? Come gli sarebbe piaciuto essere ricordato dalla comunità? Chi erano state le persone che lo avevano aiutato nei suoi progetti? Come era possibile portare avanti ciò che lui aveva iniziato? A un tratto tutto il dolore si era trasformato in gratitudine, gioia, entusiasmo e orgoglio. Io non mi rendevo ancora conto di quel che stavo facendo. Ricordo però di essermi sentita appagata per aver condotto il mio lavoro in quel modo. La signora mi accompagnò alla porta e salutandomi mi disse: «Assunta, sei molto giovane e per questo voglio che tu mi faccia una promessa: condurrai sempre le tue interviste come hai fatto oggi. Mi aspettavo di dover rivangare il dolore come accade sempre con i giornalisti e invece tu mi hai dato modo di raccontare e ricordare quanto sia stato straordinario mio marito. Questa sera mi addormenterò serena per la gioia di averlo avuto accanto tutti questi anni. Ricordati sempre: le persone credono di voler conoscere il dolore altrui, in realtà hanno più bisogno di trasformare la sofferenza in qualcosa di utile». Ho fatto quella promessa. L’ho portata con me ogni singolo attimo vissuto con un taccuino in mano davanti a una persona da intervistare. L’ho elaborata, rafforzata e resa visione.

La promessa mantenuta


Da quel giorno è stato un continuo chiedermi se stessi mantenendo la promessa. A volte non l’ho fatto: mai per scelta consapevole ma per dinamiche da cui mi sono fatta trasportare. E quelle volte è stato difficile fare pace con me stessa. Ho imparato a trarne insegnamento per onorare comunque il percorso. Porto le immagini di quel momento con me e ne faccio tesoro ogni volta che scelgo di scrivere un articolo o di lanciare un progetto. E sono state con me quando ho fondato, insieme a colleghi straordinari, il Constructive Network frutto di un lungo percorso di studio e approfondimento sul giornalismo costruttivo. Un giornalismo che rispetta il lettore, racconta i problemi mettendoli in un contesto ma si concentra sulle soluzioni perché sono ciò che ci permette di essere resilienti e ottimisti costruttivi. Il network è cresciuto in modo esponenziale nel giro di un anno e ci ha permesso di collezionare centinaia di domande da parte di professionisti e lettori: come si fa giornalismo costruttivo? Come si riconosce il giornalismo delle soluzioni?


La risposta è NEWS48, questo progetto editoriale indipendente e non profit che sarà un contenitore attento di storie che costruiscono. Non vi troverete semplici buone notizie, perché non è di giornalismo positivo a tutti i costi che abbiamo bisogno. Potrete imbattervi, invece, in articoli di approfondimento, storie che raccontano la complessità del mondo, attenzione a punti di vista diversi. Non aspettatevi un aggiornamento costante e nemmeno lanci volanti. Non è nemmeno di questo che abbiamo bisogno. Qui le storie sono curate, studiate, sussurrate. Non urleremo ma ci prenderemo il tempo per arrivare dopo ma meglio. 48 è il doppio di quel 24 che vediamo troneggiare sui loghi di tutti i siti di informazione più letti. Niente di più distante da quello che siamo noi.


E permettetemi di assicurarvi che siamo consapevoli della nostra grande responsabilità ma che siamo anche certi di poter portare un contributo nuovo al mondo dell’informazione. Il giornalismo costruttivo o giornalismo delle soluzioni si sta facendo strada in tutto il mondo e noi abbiamo la grande opportunità di essere supportati dal Solutions Journalism Network che ci ha permesso di partire. Grazie al dialogo continuo con giornalisti di tutto il mondo abbiamo messo a punto il progetto di NEWS48 ma sappiate che nulla, davvero nulla, sarebbe potuto accadere senza fare un lavoro di squadra di quelli fatti bene.

E per questo voglio mostrare tutta la mia gratitudine ai miei colleghi e amici, persone che stimo profondamente e che hanno la costruttività nel DNA: Michela Trada, Sabrina Falanga, Isa Grassano, Mariagrazia Villa, Vito Verrastro e Mariangela Campo. Insieme abbiamo pensato a NEWS48, lo abbiamo reso reale e abbiamo deciso di farlo diventare il primo magazine di giornalismo costruttivo in Italia. Ma non siamo solo noi sette: ci sono i giornalisti del Constructive Network che collaborano al progetto e ci siete voi che ci sostenete con donazioni generose. Perché restare indipendenti è la sfida più grande. No, non sono le storie. Di quelle è pieno il mondo e molte le troverete qui.


Credeteci con noi. Se vi hanno deluso dateci l’opportunità di mostrarvi che si può fare anche in un altro modo. Scriveteci se sbagliamo per aiutarci a migliorare. Ma fatelo anche quando avrete apprezzato un nostro articolo, perché la gratitudine è un carburante potentissimo.


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