“Il figlio che avevamo desiderato tanto, per cui avevamo fatto mille sogni e progetti, arrivato dopo sei anni di matrimonio, improvvisamente ci rendemmo conto che era e sarebbe stato sempre un cucciolo indifeso e che, più che dall’autismo, dovevamo difenderlo dalle persone, dal mondo avido e indifferente”. Lo afferma Cinzia Vozza, la mamma di Marco, nel volume Il mio tuffo nei sogni. Marco D’Aniello, una storia di sport e amicizia (Altrimedia Edizioni, prefazione di Mara Venier) della giornalista e scrittrice Rossella Montemurro.
Marco da bambino speciale è diventato campione di nuoto. Nel 2019 ha conquistato il record italiano assoluto nella categoria Juniores 50 metri stile libero ai Campionati Nazionali della FISDIR. Lo scorso luglio, doppio oro nei 100 farfalla FINP a Napoli nel Campionato Italiano di Società e Campionati Italiani Assoluti Estivi di nuoto paraolimpico.
Toccante la prefazione del volume firmata da Mara Venier: “Marco, Cinzia, Roberto e Barbara mi sono rimasti nel cuore. Come accade per tutte le anime belle, pure: uomini e donne che lottano ogni giorno contro qualcosa di indefinito, sopportando pregiudizi, cattiverie spesso conditi da sguardi di commiserazione. Cinzia e Roberto sono genitori esemplari. Giovanissimi si sono misurati con l’angoscia di non sapere cosa stesse accadendo al proprio bambino e, nello stesso tempo, coi propri limiti. Con tenacia e forza di volontà hanno saputo stargli vicino amorevolmente con tutte le proprie forze e con grande determinazione. Ancora oggi di autismo se ne parla tanto ma non sufficientemente; ancora meno si dà la giusta rilevanza a storie di grandi sacrifici ma soprattutto di straordinario amore come questa”.

Rossella, come hai conosciuto la storia di Marco?
È stato Lorenzo Laporta, scrittore e agente letterario di Taranto, mio amico da anni, che mi ha parlato di Marco e della sua famiglia. Mi ha messo in contatto con Roberto e Cinzia D’Aniello, i genitori, affinché potessi rendermi conto, dalle loro parole, della “forza” della sua incredibile storia.
Perché hai deciso di renderla pubblica?
In realtà Marco, qualche mese prima che prendesse forma il nostro progetto editoriale, era stato ospite di una trasmissione condotta da Mara Venier su Rai Uno, “La porta dei sogni”. Erano protagoniste persone che avevano alle spalle storie singolari e volevano realizzare un sogno. In questo caso incontrare Raoul Bova. Durante la partecipazione è venuto fuori il vissuto suo e dei genitori. Pochi ma significativi minuti che hanno permesso a tantissimi telespettatori di conoscerlo. Con Il mio tuffo nei sogni ho voluto dare più spazio possibile a Marco che, da bambino inquieto e irrequieto è diventato un fuoriclasse nel nuoto. Per lui, i suoi genitori e la sua sorellina ogni giorno è stato una conquista e una battaglia. Di autismo vent’anni fa se ne parlava poco, con inevitabili ripercussioni sulla diagnosi e sulle terapie e il contesto sociale non è stato sempre positivo: Marco è stato vittima di bullismo, la sua strada non è stata sempre in discesa, anzi.
Come hai fatto a entrare in punta di piedi nella loro vita e a guadagnarti la loro fiducia?
Non amo sensazionalismi, non mi piace entrare a gamba tesa nelle vicende personali. Nel lavoro di giornalista ho sempre cercato un approccio basato soprattutto sull’empatia ed è stato così anche quando ho ascoltato Cinzia e Roberto. Sono stati loro ad “accogliermi”, si sono aperti con il cuore in mano. Da parte mia nessuna forzatura, nessuna ricerca di particolari morbosi. Mi sono limitata ad ascoltarli, li ho lasciati liberi di spaziare su ciò che volevano fosse raccontato. Sono rimasta stupita dall’autenticità di queste persone che non hanno esitato a raccontare anche episodi critici.
La vita di Marco è una storia che commuove ed è capace pure di far sorridere, spinge a interrogarsi ma indigna anche molto. Come sei riuscita a mescolare sapientemente i limiti e le opportunità che lui e la sua famiglia vivono quotidianamente?
Avrei potuto edulcorare certi passaggi o, al contrario, amplificarne altri per dare più enfasi alla storia, ma non sarebbe stato corretto. Fermo restando che la vicenda di Marco ha un valore intrinseco, quello che emerge da Il mio tuffo nei sogni è la quotidianità di una famiglia normale che ha un componente speciale. Come tutte le famiglie, ha affrontato e affronta alti e bassi. Inutile dire che i periodi down, questi sì, sono inevitabilmente amplificati. Di contro, i traguardi che Marco continua a raggiungere nel nuoto sono conquiste splendide che ripagano di tanti sacrifici e momenti bui. Se non avesse avuto alle spalle una famiglia che si dedica così tanto a lui, a scapito di sé stessa e con enormi sacrifici, Marco non avrebbe avuto queste opportunità.
Cosa può fare, quindi, il giornalismo affinché sia costruttivo nell’affrontare e narrare tematiche sociali come questa?
In primis dare spazio a tematiche “scomode”. Parlare di autismo, di difficoltà, di problemi espone al rischio di avere una platea limitata di lettori. Sappiamo bene che mai come adesso si cerca, anche nei libri, la possibilità di evadere, di lasciarsi andare. Si tende a svicolare, insomma, da ciò che fa riflettere. Noi giornalisti, rischiando di andare controcorrente, dovremmo rimanere sempre in ascolto e andare alla ricerca di storie particolari che possano essere da esempio, proprio come quella di Marco.
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