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Mamoiada: dalla cronaca nera ad attrazione turistica. Storia di un paese che ha vinto una sfida coraggiosa

Set 13, 2021
Mamoiada

Nel cuore della Sardegna si trova quella regione aspra, selvaggia e fascinosa che i romani avevano chiamato Barbària, ossia l’attuale Barbagia. Territori che, anni addietro, evocavano un mondo popolato da pastori, povertà e banditismo, in aperto conflitto con il resto della società. La stagione dei sequestri di persona ad opera della criminalità rurale sarda è stato uno dei capitoli più oscuri della storia italiana. Si tratta ormai di preistoria: oggi questo angolo del nuorese ha aperto le porte alla modernità, mantenendo con fierezza l’attaccamento alla sua cultura e alle sue tradizioni. Un mix vincente, che ha portato via via molti turisti a spostarsi dalle coste verso l’interno dell’isola. Paradigma di questa evoluzione è il paese di Mamoiada. Adagiato a 650 metri di altitudine ai piedi del Gennargentu e dell’altopiano di Supramonte, è circondato da rilievi granitici, boschi, valli, corsi d’acqua e piccoli centri abitati dai vicoli stretti e dalle case costruite con i muri di pietra.

Il paese delle maschere ancestrali e del Cannonau


Mamoiada, che attualmente conta circa 2500 abitanti, non aveva una vocazione turistica. Era conosciuta per i mamuthones e gli issohadores, antichissime figure del Carnevale sardo. Le prime, dall’aspetto cupo e tragico, portano sul viso le viseras, maschere nere intagliate in legni pregiati, e indossano pelli ovine su cui si caricano trenta chili di campanacci. Danzano insieme agli issohadores, che portano invece una maschera bianca e una giacca rossa. Oltre a questa tradizione, che attirava qualche visitatore occasionale, il paese si caratterizzava per la sua consistente produzione vitivinicola (qui si produce il Cannonau), che non portava però alcun afflusso turistico. Senza contare che non esisteva una struttura ricettiva per accogliere eventuali ospiti. Ma soprattutto era il periodo, a cavallo tra gli anni ’90 e 2000, in cui Mamoiada era conosciuta per una sanguinosissima faida tra famiglie, che lasciò una scia impressionante di omicidi e che squassò il paese, ingenerando un clima generale di paura. Difficile, con queste premesse, pensare a una rinascita. Invece un’amministrazione locale illuminata e la lungimiranza di alcuni cittadini che hanno creduto nelle potenzialità del luogo, ne hanno cambiato radicalmente le sorti.

L’inizio della ripresa


Nei primi anni 2000 si decide di riqualificare una struttura già esistente, un piccolo museo locale delle maschere tipiche, trasformandolo in una struttura a respiro internazionale, con l’esposizione non solo dei mamuthones e issohadores, ma di tutte le maschere dell’area mediterranea che hanno in comune il costume fatto con pelli di animali e campanacci. Per la gestione del museo il Comune indice un bando, a cui partecipa la cooperativa Viseras, costituitasi per l’occasione, che si aggiudica la gara. Sono tre soci, tre giovani visionari che, nello scetticismo generale, scommettono sul rilancio di Mamoiada e sulla sua vocazione turistico-culturale. Per due anni fanno puro volontariato: l’afflusso di visitatori al Museo delle Maschere Mediterranee è scarso e non è possibile ricavare gli stipendi.

Ma i soci di Viseras non si arrendono e iniziano a tessere una rete di collaborazioni con tutti i soggetti interessati, a partire dagli artigiani che lavorano il legno. «Abbiamo chiesto loro di aprire i laboratori ai turisti e di raccontare, mentre sono intenti a intagliare il legno, le fasi di creazione delle maschere. Similmente abbiamo proposto alla cantina Sedilesu, che si trova dentro il paese, di organizzare dei tour nelle vigne e all’interno della cantina stessa» racconta Mario Paffi, direttore del Museo delle Maschere e presidente della cooperativa Viseras.

«Il Cannonau, che prima veniva venduto sfuso in taniche ai locali, ora viene imbottigliato e si decide di creare un legame con le maschere, un unico brand che riunisce i due prodotti più tipici. L’etichetta infatti riporta l’immagine di una maschera e il vino viene chiamato “Mamuthone”». Dal 2011 si aggiunge un tassello: la cooperativa Viseras gestisce anche il Museo della Cultura e del Lavoro, che racconta la vita degli uomini e delle donne di Mamoiada, così come si svolgeva ancora sino alla metà del secolo scorso. Nel 2014 si aggiunge il MATer, il Museo dell’Archeologia e del Territorio che illustra i reperti archeologici della zona, le tradizioni locali, i prodotti tipici: si completa così il circuito museale del paese. La narrazione del territorio diventa la chiave di volta per il rinascimento mamoiadino.



Una scommessa vinta


A questo punto occorre convogliare i flussi turistici verso il paese: prima si stringe un’alleanza con il vicino paese di Orgosolo, famoso per i suoi murales di protesta nei confronti dello Stato, proponendo un percorso che include Mamoiada, poi si punta al turismo estivo balneare. «Abbiamo iniziato una promozione a tappeto soprattutto sui villaggi della costa orientale, offrendo educational tours con delle guide. Il progetto ha funzionato alla grande, tanto che oggi le escursioni sono il nostro core business: gruppi di turisti acquistano il pacchetto vacanze che prevede l’uscita a Mamoiada con la visita alle cantine (che nel frattempo sono diventate 25), ai laboratori artigianali e ai musei. Il quale, negli ultimi anni, si è trasformato in una moderna struttura che prevede un percorso multimediale e immersivo» spiega Paffi.

Oltre al turismo estivo, Mamoiada può contare anche su quello scolastico (sono diverse le proposte educative e didattiche), della terza età ed enogastronomico. Le cifre parlano chiaro: nel 2002 le presenze al Museo delle Maschere sono 7000; nel 2019, in epoca pre Covid, oltre 28.000. Di queste, il 40% è straniero (soprattutto francesi, tedeschi, inglesi). I nuovi flussi hanno comportato la necessità di creare delle strutture ricettive: attualmente a Mamoiada ci sono una locanda, due ristoranti (di cui appena aperto da un giovane chef del paese), un’enoteca, tre pizzerie, diversi B&B e affittacamere, per un totale di 80 posti letto. Nei periodi di “pienone”, i turisti si riversano nei paesi vicini, creando così una ricaduta positiva su tutto il territorio.

Augusto Sanna è il proprietario della locanda Sa Rosada e racconta come ha vissuto la trasformazione di Mamoiada. «Prima di aprire il locale facevo un altro lavoro. Poi ho visto le potenzialità del paese, e ho deciso di investire su questo progetto. Ho acquistato un rudere ottocentesco, l’ho restaurato e nel 2006 ho inaugurato la locanda, che comprende ristorante con cortile interno, bar, servizio di vineria, cantinetta e qualche camera per gli ospiti. È stata una scommessa imprenditoriale in tempi difficili, ma negli anni le cose sono andate sempre meglio. Ora facciamo 60-70 coperti in estate e una trentina in inverno. La carta vincente è stato proporre le eccellenze enogastronomiche del territorio. Ho privilegiato la qualità piuttosto che la quantità con i menù a prezzo fisso».

Creare sinergie è la soluzione


Analizzando i flussi dei visitatori, si è visto come il turismo che proviene dalle spiagge si concentra nei mesi estivi, quello scolastico da marzo a maggio. Si decide allora di scommettere anche sugli altri mesi dell’anno, soprattutto con il turismo di prossimità, proveniente dalle zone vicine. A novembre si svolge la manifestazione “Sas tappas” un percorso tra vecchi sapori: pane carasau, vino, formaggi e salumi, che conta moltissime presenze. E poi il Carnevale, a partire dal 17 gennaio, con tutti gli eventi correlati. L’offerta non finisce qui: la sinergia tra le varie attrattive della zona è la risposta giusta all’esigenza di attirare nuovi segmenti turistici. Si stringe così un accordo tra il Museo delle Maschere, il museo di arte moderna di Orani e l’acquario di Cala Gonone: chi visita uno dei tre, ha poi diritto a uno sconto sugli altri biglietti. Due anni fa viene creata l’associazione Distretto Culturale del Nuorese, che riunisce in una mappa tutti i luoghi culturali del territorio, collegandoli tra loro in un progetto comune di valorizzazione. Il territorio fa rete e la ripresa economica e sociale di un paese fa da volano a quella degli altri centri. Durante il periodo di lockdown imposto dal Covid l’amministrazione comunale e la cooperativa Viseras non sono rimaste con le mani in mano: hanno portato avanti un progetto rivolto al mercato tedesco, animato le pagine social, realizzato il sito mymamoiada.net, un portale che vuole far diventare il paese una microdestinazione turistica, vendendo pacchetti in modo continuativo e professionale.

L’ostacolo più grande: cambiare mentalità


Fin qui le soluzioni messe in campo per far rinascere il paese. Ma un progetto a così ampio respiro richiede delle condizioni necessarie per poter essere attuato e in queste risiedono i suoi limiti. «Innanzitutto un’amministrazione locale aperta ai cambiamenti, riformatrice, che metta a disposizione risorse da investire sul lungo periodo. E poi occorre tempo per far accettare e capire i cambiamenti. Soprattutto nei piccoli centri, manca la cultura turistica e va creata passo dopo passo, coinvolgendo tutti gli attori locali. Occorre spiegare agli artigiani, per esempio, che il lavoro manuale non basta e bisogna investire sulla formazione, restare al passo con i tempi. Che la cultura crea turismo e a cascata tutti i soggetti coinvolti ne beneficiano. E che solo chi ha saputo adeguarsi al nuovo ha molte più possibilità di sopravvivere».


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Laura D'Orsi
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