Una società scarsamente preparata ad affrontare il futuro è una società, sostanzialmente, senza futuro. Lo chiamano “presentismo”, ed è quella sensazione di essere schiacciati nel presente senza nessuna capacità di proiettare lo sguardo in avanti. Un po’ come campare alla giornata, in un day by day che non consente ai tuoi sogni, alle tue ambizioni, ai tuoi desideri, di venir fuori, di esprimersi.
Una sensazione che è diventata percezione, da quando le varie crisi e la pandemia hanno occupato il centro della scena, con i media mainstream che si sono affannati a puntellare il racconto di un presente cupo e senza sbocchi. E così, il tema “futuro” è praticamente sparito dall’agenda della narrazione, e da molti nostri calendari, riaffacciandosi timidamente con il Next Generation Eu e con il PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) che ha spostato il nostro orizzonte al 2026, arco temporale entro cui occorrerà spendere – o meglio, investire – i fondi europei che arriveranno copiosi nel nostro Paese. Ma non basta.
Occorre riportare un’idea, una proiezione di “futuro possibile” tra di noi, e non lasciarla nelle mani di pochi eletti visionari alla Elon Musk. Perché solo questa proiezione ci porterà a comprendere e sfruttare al massimo le opportunità che un mondo globalizzato, interconnesso e in rapida evoluzione ci sta presentando. La trasformazione digitale e la transizione green sono sfide destinate a cambiare radicalmente il modo in cui viviamo, operiamo, lavoriamo, e dobbiamo esserne pienamente consapevoli. Non a caso l’Unesco ha codificato una competenza di cui si parla pochissimo, ma che sarà fondamentale nel 21° secolo: la “futures literacy”, ovvero l’alfabetizzazione ai futuri. Occhio al plurale: futuri, proprio perché ne potremo immaginare e costruire diversi, a seconda della prospettiva che andremo ad analizzare.

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Ogni mese pubblichiamo un editoriale per riflettere insieme sul giornalismo, la comunicazione e l’attualità. A firmare questi articoli sono i professionisti del team editoriale di News48.
Da dove iniziare?
Mi rifaccio ad una frase di un mio caro amico, Roberto, che vive da qualche anno in Svizzera, nel cantone francese, e mi dice: “Questo Paese funziona perché funziona la scuola”. Ci credo fermamente! È da lì che dobbiamo avviare un processo di innovazione del mindset, della mentalità dei nostri ragazzi, troppo disorientati rispetto ai cambiamenti globali che ci stanno girando intorno, troppo timidi ed impauriti rispetto ad una narrazione mainstream che continua a rappresentare il “futuro che non c’è” e il “lavoro che non c’è”, negando loro ogni possibilità di spinta in avanti.
Questa sfida, riportare il futuro tra i giovani, è uno dei principali obiettivi che il giornalismo costruttivo dovrebbe porsi, raccontando le svariate opportunità e le tante soluzioni che si stanno prospettando. Il nostro giornalismo è qualcosa che non si ferma al presente, non si schiaccia sui problemi, ma individua processi, buone pratiche, esempi lodevoli (role model), e su questi costruisce direzioni possibili, aperte, coraggiose. È una modalità di comunicazione che spinge a vedere i problemi come “opportunità da risolvere” e non come muri; ad esercitare il pensiero critico, a mettere dentro i nostri percorsi quella creatività capace di farci pensare out of the box (fuori dall’ottica comune). E tutto ciò, se ci pensiamo, impatta tantissimo su quell’ampio cappello che sono le soft skills, le competenze trasversali di cui oggi c’è tanto bisogno in ambito lavorativo e non solo.
Abbiamo infinito bisogno di persone mentalmente più forti che siano in grado di affrontare le sfide del futuro e di essere non solo resilienti – ovvero di resistere agli urti della vita – ma addirittura antifragili, cioè in grado di allenare il proprio miglioramento in condizioni di crisi. E come allenarsi, se non rimanendo in ascolto attivo verso quelle traiettorie possibili che ci danno la forza di credere di più in noi stessi, di aprire delle prospettive, di darci carburante pulito e di farci passare dalla “mentalità della vittima” a quella del vincitore?
Ecco perché la nostra missione, quella del giornalismo e della comunicazione costruttiva, è davvero cruciale in termini di formazione di una nuova mentalità. Perché il cambiamento è soprattutto culturale e noi possiamo diventare un “faro” in grado di illuminare il futuro. Anzi, i futuri. Senza il rischio che le risorse in arrivo vengano sprecate e diventino “debito cattivo”, finendo per pesare proprio sulle spalle dei nostri giovani.
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