Gianluca Stival è nato a Odessa nel 1996, ha scritto 3 libri e si è laureato in inglese e francese scrivendo una tesi in diritto internazionale francese. Una volta laureato, ha iniziato un Master e si è lanciato in una delle idee più folli che potesse avere: avviare un’attività in piena pandemia coniugando le sue due passioni.
Gianluca, raccontaci qual è stata la tua idea?
La mia idea di diventare Consulente e Tutor Linguistico è nata dalla possibilità di coniugare le lingue e l’empowerment, due elementi fondamentali per la crescita non solo linguistica ma anche personale. Io ritengo che chiunque di noi abbia dei talenti, e attraverso i miei studi accademici e la formazione che ho intrapreso, ho voluto trovare un modo per farli emergere da ognuno di noi. Il tutto è nato quando, nel giugno 2014, ho fatto un’esperienza di volontariato nella capitale dell’Ecuador che mi ha aiutato moltissimo a capire il lato umano e profondo di ciò che ci circonda, soprattutto avendo a che fare con bambini e ragazzi dai quattro ai sedici anni con vissuti e necessità tra i più disparati.
Hai avuto l’opportunità di collaborare con due Consolati, uno francese e uno panamense: essere immerso nella lingua e nella cultura di quei Paesi è stata una chiave di svolta per la tua crescita?
Assolutamente sì. In entrambi i casi ero a stretto contatto con la Direzione dei vari Consolati e collaboravo con i Consoli nelle pratiche amministrative e burocratiche (come i visti, i libretti di navigazione, la tutela dei cittadini stranieri e dei loro familiari). Queste due esperienze mi hanno aiutato in modo vitale a livello linguistico, perché ero esposto quotidianamente alle lingue con il personale e con coloro che accedevano ai servizi consolari. Sono grato anche dal fatto che le competenze acquisite mi abbiano aperto gli occhi su tutte le dinamiche legislative legate agli stranieri, motivo per il quale ho voluto intraprendere un percorso di alta formazione in mediazione interculturale.
L’esplosione della pandemia di Covid-19 ha cambiato indubbiamente le nostre vite. Trovi che si sia modificato anche il nostro modo di parlare tra slittamenti semantici e introduzione di nuove parole?
Studiare e lavorare a distanza ha portato la comunicazione ad essere più scritta (e-mail, messaggi, corrispondenza elettronica) e più rapida. Proprio per questo anche la lingua si è sviluppata: è importantissimo, però, pensare alla lingua come ad uno strumento in continua evoluzione a prescindere dai momenti storici o da ciò che accade nel mondo. Gli acronimi, gli accenti e i termini nuovi sono tutte conseguenze di questa evoluzione. I ricercatori William Hamilton, Jure Leskovec e Dan Jurafsky hanno parlato proprio dei principali cambiamenti semantici e hanno evidenziato come i nomi siano più inclini al mutamento a causa delle trasformazioni culturali a cui facciamo fronte ogni giorno, così come capita con le nuove tecnologie.
Credi sia molto importante sostenere la diversità linguistica, inclusa la promozione di lingue rare e di dialetti in via di estinzione?
Studiando alcuni testi per il percorso in mediazione interculturale posso confermare che la diversità linguistica è da preservare e conservare con estrema cura. A partire dal 2000, infatti, la “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”, proibisce le discriminazioni fondate sulla lingua e obbliga l’Unione a rispettare la diversità linguistica. Non è un caso che, la diversificazione linguistica, sia un valore aggiunto nel mondo in cui viviamo. Nello specifico, l’articolo 165, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) sottolinea come l’azione dell’Unione abbia lo scopo di “sviluppare la dimensione europea dell’istruzione, segnatamente con l’apprendimento e la diffusione delle lingue degli Stati membri”, rispettando, di conseguenza, le diversità culturali e linguistiche.
Quali sono, in questo momento, le esigenze di chi deve apprendere o perfezionare una lingua straniera?
Negli ultimi mesi ho collaborato con alcune aziende nel milanese e nel trevigiano e sono emerse alcune necessità: c’è indubbiamente più bisogno di linguaggio tecnico relativo al lavoro da remoto, alle call internazionali, agli aspetti culturali legati ai Paesi con cui si intrattengono rapporti commerciali e ai cosiddetti “small talk”, ovvero le brevi conversazioni che si hanno nelle situazioni sociali. È anche vero che le esigenze variano a seconda del settore in cui opera l’azienda e dal livello linguistico, però un aspetto positivo della pandemia è quello di aver portato dipendenti e dirigenti a perfezionarsi nella comunicazione con un’attenzione più meticolosa verso la cultura di riferimento e la tipologia di corrispondenza.
Ci racconti dei maggiori limiti o sbagli nell’apprendimento di una lingua e, parallelamente, ci proponi alcune possibili soluzioni?
Lo sbaglio più comune e pericoloso, a mio avviso, è considerare la lingua come una “materia” scolastica. È in quel momento che molte persone percepiscono una vera e propria paura. Parlavo di lingue ed empowerment proprio per quello: il messaggio che cerco sempre di trasmettere è che la lingua è un meraviglioso passe-partout: permette di viaggiare, di studiare all’estero o di rincontrare i famigliari dall’altra parte del mondo. È una chiave che consente di aprire la mente e il cuore. Se riuscissimo a vedere una lingua come un alleato in grado di rafforzarci e non come una materia che dobbiamo “studiare” o “sapere” per lavorare e studiare, ci sarebbe molto meno timore e ci si approccerebbe con più consapevolezza e tranquillità.
Infine, nel tuo percorso di comunicatore ti sei anche avvicinato al giornalismo collaborando con una testata. Informazione e narrazione di cosa hanno bisogno per essere costruttive?
Interfacciarmi al mondo del giornalismo è stato un vero e proprio toccasana per me. Mi ha permesso di scoprire che la comunicazione deve rispettare delle caratteristiche imprescindibili. In primo luogo, deve essere chiara e corretta: è necessario riportare notizie vere e verificate e adottare una corretta terminologia soprattutto avendo in mente il lettore o la lettrice di riferimento senza destare confusione. In secondo luogo, la comunicazione deve essere concreta e concisa: deve permettere al ricevente di assimilare il messaggio senza perdersi in dettagli poco efficaci. A mio avviso, infine, comunicare bene significa anche parlare o scrivere in modo chiaro: chi legge deve ricevere un’informazione definita e comprensibile.
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