Oggi, è molto difficile riuscire ad interpretare i nuovi codici e i nuovi linguaggi della mafia. Una mafia che comunica in maniera diversa rispetto al passato. Il giudice Giovanni Falcone ci ha lasciato in eredità l’idea di una mafia che è capace di comunicare per sottrazione e non una mafia che invece comunica in maniera palese. Una comunicazione per sottrazione dove un gesto di pochi secondi, come quello di muovere la testa, è bastato per far saltare in aria prima Falcone e poi Borsellino. Ci sono stati anche gli anni in cui la mafia ha voluto, a parte questi due omicidi eccellenti insieme agli uomini della scorta, dare delle dimostrazioni importanti pensiamo, per esempio, all’attentato di via dei Georgofili.
Il sistema mafioso ha cambiato completamente il suo aspetto. Basti pensare ai pizzini di Provenzano, com’erano scritti e come venivano poi consegnati, e poi riflettere sulla mafia di oggi che comunica attraverso i social network.
Le mafie nell’era digitale: il rapporto della Fondazione Magna Grecia
Qualche settimana fa è stato presentato, nella sala stampa della Camera dei Deputati, il rapporto: “Le mafie nell’era digitale”, realizzato dalla Fondazione Magna Grecia. Gli autori di questo rapporto sono Antonio Nicaso, docente di Storia della criminalità organizzata alla Queen’s University in Canada, Marcello Ravveduto, professore di Public and digital history alle Università di Salerno e di Modena-Reggio Emilia e Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica di Catanzaro. Lo studio comprende circa 20mila commenti sotto i video di YouTube, 11.500 video TikTok e 2 milioni e mezzo di Tweet.
La ricerca ha mostrato dati utilissimi nella guerra alle mafie. I boss utilizzano le piattaforme e la musica per raccontare la loro organizzazione e riescono a trovare affiliati grazie a Facebook, Instagram, Twitter e TikTok. Le piattaforme sono piazze virtuali perfette per comunicare con il mondo e per controllare i profili dei nemici. La carriera da influencer ha coinvolto anche i boss mafiosi e giovani boss vengono sostenuti dai loro follower. Una comunità di fan che supporta i principi delle mafie e appoggia le strategie di marketing che vengono proposte dai mafiosi.
A margine della presentazione del rapporto, il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri ha dichiarato: “Il lavoro presentato oggi rappresenta l’attualità. Le mafie mutano col mutare sociale, vivono fra di noi e ci somigliano, per esistere hanno bisogno di pubblicità. Anni fa si facevano vedere in processione o sponsorizzavano squadre di calcio, oggi le nuove generazioni mafiose si fanno vedere vestite in modo sfarzoso sui social per dimostrare che quello è il potere”.
E ancora ha aggiunto: “L’Italia fino a sei sette anni fa aveva i migliori investigatori del mondo: l’elite della polizia giudiziaria italiana non era seconda a nessuno.
Ai tavoli con polizia e magistrati di molti paesi del mondo l’Italia dava le carte, la polizia giudiziaria italiana era dominante. Negli ultimi anni stiamo perdendo il know-how che avevamo e, soprattutto, chi ha governato non ha investito in tecnologia, non ha fatto ricerca, ritenendo che non fosse importante sul piano dell’investigazione. Dobbiamo coprire velocemente questo gap, dobbiamo finirla di arruolare nei servizi segreti solo poliziotti e carabinieri, bisogna assumere ingegneri informatici o hacker, o non riusciremo a essere competitivi con le altre migliori polizie del mondo”.
Già un articolo del 2019, pubblicato dall’agenzia ANSA, spiegava l’analisi del fenomeno da parte della Direzione Investigativa Antimafia della DIA sottolinea come le mafie, nonostante “la forte azione repressiva dello Stato”, continuino ad avere una “capacità attrattiva” per le giovani generazioni, non solo nel caso di figli di boss o figli di famiglie mafiose ma anche e soprattutto quando fanno parte di un bacino molto più ampio di “reclutamento generale” da cui “attingere manovalanza criminale”.
Queste sono le Parole d’ordine di una nuova propaganda, ma anche avvertimenti e videomessaggi dai domiciliari e persino dal carcere ai margini della legalità e oltre, come ha spiegato il Procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho.
Mafia e social network
Ma non solo. La mafia che è capace di riuscire a fare anche delle grandi transazioni bancarie attraverso la rete. La mafia che ha colto un po’ quella che è l’essenza della rete per potenziare la sua azione criminale. E poi bisogna considerare un altro aspetto che è di tipo sociale, che riguarda la nostra società, ed è la mafia che non spara e che non semina cadaveri per strada. Questa è una mafia che fa meno paura è che nelle ricerche dà l’idea di una minore percezione di paura. Non ci fa paura la mafia che non spara.
Nella lotta alla mafia, oggettivamente, ci sono stati dei passi avanti, ma una ricerca molto interessante che ha condotto Libera, l’associazione di Don Ciotti, ci dice che i giovani non sentono come primo problema la mafia e le persone più adulte non vivono la mafia, o la criminalità organizzata, al Sud come un problema della società, ma hanno molta più paura dei migranti e del diverso, rispetto alla paura che può fare la mafia.
Un altro dato, che un è dato che tra l’altro emerge da indagini molto complesse e da rapporti anche della DIA, vede la mafia ormai è disseminata su tutto il territorio nazionale e che ha spostato i suoi obiettivi.
Non è una mafia localizzata, o le mafie in generale, la ndrangheta, la camorra, la sacra corona unita non sono più localizzate nei territori dove sono nate, ma si sono ormai spostate in tutto il mondo e anche questo adesso ci fa capire che nel nostro paese, e se amiamo il nostro paese, ormai non esiste una mafia in Sicilia e basta, ma è una mafia che è presente in Lombardia, in Veneto, in Toscana.
Io ho avuto l’onore e il privilegio di intervistare il giudice Borsellino e il capo di Falcone e Borsellino che era appunto venuto in Sicilia dalla Toscana per fare un’esperienza forte, come lui stesso l’ha definita, sto parlando del giudice Antonio Caponnetto.
Il giudice Antonio Caponnetto è stato capo del pool antimafia e lui mi ha detto in un’intervista, tantissimi anni fa, bisogna andare a parlare di antimafia nelle scuole, bisogna andare nelle scuole, parlare con i giovani, seminare la legalità tra loro, perché “è l’unico modo per falciare l’erba sotto i piedi dei mafiosi” ed è una frase che mi è rimasta impressa.
Credo che noi abbiamo un dovere che è quello di educare alla legalità e trasmettere alcuni valori. Oggi i giovani ci chiedono di capire, ci chiedono di ascoltarli e ci chiedono di indirizzarli. La nostra responsabilità è quella di non deluderli e di non abbandonarli in quest’era che ha bisogno di un nuovo “Umanesimo”.
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