Recentemente sono stato relatore ad Agrigento del convegno organizzato dalla Zona Akragantina del MASCI (Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani) in occasione del Centenario dello Scautismo Agrigentino, presso il Gran Hotel Mosè ad Agrigento. Il tema dell’incontro : “Educare alla legalità: dai valori della Costituzione, alla comunicazione e condivisione del rispetto per l’altro. La missione dello scoutismo”.
Tante le personalità presenti il mio amico e collega dell’Università di Messina, prof. Stefano Agosta, Ordinario di Diritto Costituzionale, e il Dott. Massimiliano Costa, Presidente Nazionale del MASCI, l’Arcivescovo di Agrigento, Mons. Alessandro Damiano e Vincenzo Baldacchino che ha voluto fortemente che io ci fossi.
Ho voluto analizzare le criticità della nostra realtà molto complessa ed in rapida evoluzione (le tensioni internazionali, la crisi economica, l’immigrazione, la diminuzione delle risorse mondiali).
Questo rende urgente individuare quali azioni possano aumentare il livello di consapevolezza di tutti, in modo da assumere la responsabilità di essere parte della società e partecipare in modo attivo e positivo al necessario mutamento.
In Italia i temi della solidarietà e della responsabilità sociale, hanno radici molto profonde. La Costituzione Italiana rappresenta infatti l’espressione migliore del confronto culturale e politico delle diverse anime del mio Paese all’uscita dalla Seconda Guerra Mondiale, uno sforzo di modernità ed equilibrio che vede sanciti principi importanti. Tanti gli articoli della nostra Costituzione che potrebbero essere citati come gli articoli: 2, 4 e 41.
I valori della responsabilità e della solidarietà nelle sue diverse espressioni, il diritto/dovere di ciascun cittadino a partecipare alla crescita della società, così come il diritto di fare impresa e il dovere di indirizzarla a fini sociali, rappresentano alcuni dei fondamenti su quali è organizzata la società italiana.
Certo la storia italiana dal dopoguerra ad oggi, ci ha mostrato che non sempre i principi trovano reale e completa applicazione, i tentativi di fare venire meno il primato della legalità (terrorismo di diversa matrice, delinquenza organizzata) hanno prodotto in alcuni casi una forma di scollamento tra società e Stato, e hanno dato luogo ad una crescita del paese non omogenea, complessa, generando delle differenze che ancora oggi sopravvivono in termini di sviluppo tra Nord e Sud della nostra penisola. Ciò nonostante la società italiana oggi può essere descritta come quella rappresentata da milioni persone impegnate nel volontariato, civile, sociale o politico che ha bisogno di ideali nei quali potersi riconoscere e in nome dei quali potersi impegnare.
Diceva il Giudice Giovanni Falcone: “Perché una società vada bene, basta che ognuno faccia il suo dovere”. Questa frase per me importantissima per spiegare quello che rappresenta per me la legalità e il senso della legalità.
In questa nostra società è difficile trovare esempi di responsabilità, di etica e di morale. Penso al Giudice Paolo Borsellino o al Giudice Antonino Caponnetto, due grandi uomini che ho avuto l’onore di intervistare e che non dimenticherò mai.
Più volte ho ricordato, anche durante interventi in convegni o conferenze, sia in Sicilia che in altre parti d’Italia, che ho avuto il privilegio di intervistare il giudice Paolo Borsellino per un quotidiano regionale agli inizi degli anni ‘90. Dalla Procura di Marsala stava per tornare a Palermo. Quel tono pacato con cui riusciva a pronunciare piccole e grandi verità. E’ un episodio che mi ha segnato perché ci è capitato tante volte di avere paura ma è difficile immaginare che un uomo come Paolo Borsellino, nonostante la paura continuasse la sua battaglia contro il male. La paura forse per Paolo Borsellino era anche la quasi certezza che l’avrebbero eliminato: “Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri“.
In uno dei miei articoli scientifici: “La nuova narrazione degli arresti di mafia: le tecnologie per documentare le attività investigative” ho analizzato molti degli elementi importanti che ci fanno riflettere ancora oggi su quanto accaduto negli anni Ottanta e Novanta.
Ancora oggi si ha la sensazione di vivere agli inizi degli anni ’80. Le mafie che tessono reti, uccidono, cospirano, cercano accordi con la politica e le imprese, vivono cercando disponibilità preziose per continuare la loro opera distruttrice della società. Magistrati e giudici che hanno cercato di operare, ma sono rimasti soli e sono stati uccisi.
Oggi è vero duri colpi sono stati inferti alle mafie, in quegli anni ’80. Nel frattempo le mafie hanno proliferato e cambiato pelle, niente più coppole e lupare, ma nuovi sistemi di comunicazione.
Si assiste in tal senso alla contrapposizione tra un’informazione che non riflette i dati reali sulla malavita e che si cristallizza intorno alla costruzione di un “romanzo criminale”, privilegiando i reati comuni che generano una percezione di paura e insicurezza, a fronte di dati che mostrano invece una flessione di questo tipo di reati, mentre appare sempre più debole la percezione dei rischi connessi alla criminalità organizzata e alla mafia. Per rendere ancora più esplicite le conseguenze della bassa percezione della pericolosità della mafia, la relazione della D.I.A. sottolinea inoltre come nonostante la forte azione repressiva dello Stato le mafie continuano ad esercitare un grande potere di attrazione, non solo sulle fasce deboli della popolazione, ma anche su imprenditori e liberi professionisti e, dato ancora più allarmante, sui giovani: negli ultimi cinque anni non solo si sono registrati casi di “mafiosi” con un’età tra i 14 e i 18 anni, ma gli appartenenti alle cosche tra i 18 e i 40 anni hanno raggiunto numeri quasi uguali a quelli della fascia tra i 40 e i 65 anni.
Si sta delineando una nuova dimensione della criminalità organizzata, capace di definire strategie finanziarie a livello globale, di mantenere il controllo del territorio e, dato più rilevante, di utilizzare i nuovi canali di comunicazione sfruttando i linguaggi giovanili o asservendoli ai propri fini.
Le nuove leve mafiose salgono sempre più spesso alla ribalta della cronaca e soprattutto non temono di utilizzare i canali social.
Oggi è in atto una vera e propria mutazione antropologica del mafioso, l’invisibilità, la segretezza si combinano con l’esibizione sui social dove la vita criminale diventa uno show e i criminali dei social influencer, con profili connessi con migliaia di amicizie e dei post che generano un fortissimo engagement. Una contaminazione che crea confusione, che mette insieme aspetti diversi non sempre collegabili e che induce ad una visione dove l’elemento mafioso, rappresentato attraverso i social assume dei contorni sfuocati che agevolano una percezione distorta e inducono a comportamenti e azioni che alimentano le organizzazioni mafiose.
E la nuova criminalità organizzata che non ha paura della ribalta, che si esibisce sui social trova uno spazio nel quale confondere la linea di confine tra lecito e illecito. Questo rappresenta tutti i limiti di un sistema mediatico che invece di veicolare una rappresentazione in grado di far crescere un’adeguata coscienza civica, lasciano che l’opacità e un linguaggio distorsivo trovino spazio. Ciò rappresenta con tutta evidenza una grande criticità in grado di modificare in profondo la società. Una mafia pronta anche ad imparare i processi di comunicazione per far vincere il male sul bene.
Cosa nostra è cambiata, non ha vinto ma non è stata sconfitta. Eppure come in quegli anni ’80 si diceva che la mafia non esisteva, oggi ci sentiamo dire che è sconfitta. Pochi quelli che parlano della nuova mafia, tanti quelli che ancora dicono che Cosa nostra esiste solo nella fantasia di qualcuno che fa antimafia per far carriera, per avere successo, e dicendo così si confonde la gente. In questa nostra società è difficile trovare esempi di responsabilità, di etica e di morale. Cosa ben più grave difficile avere percezione della verità.
Le vittime della stragi sono ancora qui tra noi a chiederci Giustizia. Anni di silenzio e ancora silenzio, tanto silenzio. Proprio su questo silenzio mi porto dentro un’altra intervista quella fatta al giudice Antonino Caponnetto Capo del Pool Antimafia. Sulla tragica uccisione del giudice Borsellino aveva fatto dichiarazioni molto precise. Cercato risposte che non sono arrivate: “Ancora oggi aspetto di sapere chi fosse il funzionario responsabile della sicurezza di Paolo, se si sia proceduto disciplinarmente nei suoi confronti e con quali conseguenze”.
E ancora Di Caponnetto mi piacevano tantissimo i messaggi che era capace di lanciare ai giovani: “Ragazzi godetevi la vita, innamoratevi, siate felici ma diventate partigiani di questa nuova resistenza, la resistenza dei valori, la resistenza degli ideali. Non abbiate mai paura di pensare, di denunciare e di agire da uomini liberi e consapevoli”.
Ho avuto modo di appurare in attività di ricerche esaminando spesso come Cosa Nostra sia passata con disinvoltura dai pizzini ai nuovi canali social, la narrazione mediatica del linguaggio mafioso.
La percezione distorta del reale viene, infatti, enfatizzata dai mezzi di comunicazione, che insistono sui particolari, su quel “feticismo del dettaglio”, che accresce la curiosità, tanto che sempre più spesso i casi di cronaca nera diventano sempre più eventi televisivi, per mezzo dei quali alzare l’audience grazie alla morbosa cura dei dettagli angoscianti.
Falcone e Borsellino hanno immolato le loro esistenze e sacrificato così i loro affetti più cari. Le fiction sono diventate realtà. Anzi la realtà ha superato ogni finzione scenografica. E se si vuole scrivere insieme un nuovo copione, è necessario imparare a conoscere le nuove modalità di interazione e di comunicazione impiegati dalle criminalità organizzate, in modo da formare adeguatamente anche le nuove generazioni. Andare oltre “Il Padrino”. Oltre “Il Capo dei Capi”. Tutto viaggia sulla rete. Tutto è social, anche la mafia.
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