Da tempo ho smesso di seguire i dibattiti televisivi e radiofonici in cui si confrontano diverse opinioni politiche, sanitarie, economiche o sociali. Non perché il confronto tra diversi punti di vista non sia utile.
Ma perché, lavorando da decenni nell’informazione, conosco bene quali sono le priorità quando si realizza un programma di quel tipo: dietro un’apparente rispetto del pluralismo si cela infatti la ricerca furbesca dello scontro, il muro contro muro, lo sghignazzo irridente, l’interruzione aggressiva, il tono invasato, la minaccia di querela o l’abbandono plateale della scena. Tutto ciò che, in sostanza, colpisce la pancia del pubblico, a scapito ovviamente di quello che dovrebbe essere il fine di un programma giornalistico: informare.
Crescita della conoscenza e della sensibilità: la sfida del giornalismo
Ora il problema è complesso. Perché ognuno di noi se vede una rissa per strada tende a fermarsi incuriosito. Il conflitto è alla base di qualsiasi racconto, normale che susciti più interesse di una seria lezione accademica. Però è alla crescita della conoscenza e della sensibilità che dovrebbe tendere il giornalismo oggi, in una società dilaniata dall’ignoranza, dal pressapochismo e da un’alluvione di notizie che offendono la verità.
Come fare? Credo molto nel giornalismo costruttivo, che guarda con fiducia ai problemi, ne denuncia le responsabilità, ma prova sempre ad affiancare proposte concrete e visioni di respiro lungo. Non è un compito facile.
Per varie ragioni. Primo perché si rischia di scivolare nello scritto stucchevole, retoricamente edificante, in una parola fastidioso. Secondo perché l’atteggiamento positivo si confonde facilmente con l’ingenuità. Quante volte abbiamo, come categoria, esaltato notizie all’apparenza incoraggianti sgonfiatesi poi nel giro di poco (la scoperta di un farmaco contro il cancro, una soluzione tecnologica che sembrava risolutiva e che è morta nel nulla, un personaggio apparentemente valido ma in realtà pieno di ombre)?
Detto questo, no, nel nome del rigore non possiamo isolarci in una torre d’avorio e raccontarci di far bene il nostro lavoro riportando fedelmente e con scrupolo fatti ed eventi dal contenuto positivo. Dobbiamo essere consapevoli che il nostro lavoro è in continua concorrenza con uno spettacolo dalla presa molto facile, lo scontro esagitato, forte di un potente richiamo emotivo. È allora sulle emozioni che possiamo calibrare le nostre scelte. E per emozioni intendo racconto.

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Le storie sono fatte di materiale umano che ha la giusta temperatura
Mi spiego: mi occupo da quasi dieci anni di tecnologia e quello che noto, quasi sempre, è quanto il mondo della ricerca e dell’innovazione sottovaluti l’importanza di comunicare bene il proprio lavoro. In gran parte dei casi è solo una faticosa incombenza da sbrigare più in fretta possibile. Ci si concentra sugli aspetti tecnici, su dettagli economici, ma si trascurano le motivazioni ideali, le storie di chi ha avuto l’idea, le difficoltà incontrate, i bisogni concreti che le cose proposte intendono soddisfare.
Ecco, questo è il materiale umano che ha la giusta temperatura per opporsi da pari a pari al giornalismo della rissa. Bisogna sforzarsi per estrarlo, vincere le resistenze di chi teme d’essere sminuito da questo approccio, spiegare ai nostri interlocutori che è fondamentale farsi aiutare, magari da un bravo ufficio stampa, perché un’impresa o una startup non possono affidarsi soltanto a gente brava coi codici e coi conti.
Anche qui: c’è il pericolo di innamorarsi delle storie, di volerle magari inconsciamente forzare per ricavarne un bel titolo, di farsi abbagliare da abili addetti stampa che hanno capito il gioco. Bisogna insomma saper rinunciare al racconto che buca se non passa un severo controllo sui fatti. Non è facile, specie per chi come me viene dal mondo della sceneggiatura, dove tra i fatti e la leggenda vince sempre la seconda.
Detto questo, però, con il giusto equilibrio, ecco la strada che il giornalismo costruttivo può percorrere: mostrare sempre che dietro ogni problema può esserci una soluzione, dietro ogni soluzione la scintilla di un sognatore. Cantava Leonard Cohen che c’è una crepa in ogni cosa, ma è da quella crepa che passa la luce.
A noi il compito di cercarla.

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- Il giornalismo costruttivo e il materiale umano che ha la giusta temperatura - Dicembre 16, 2021