Il filosofo e scrittore colombiano Nicolás Gómez Dávila ci ha insegnato che tutti i veri problemi umani non hanno soluzione, ma storia. È un’interessante pista di riflessione, non trovate?
Noi, giornalisti costruttivi, in fondo cerchiamo proprio questo: di raccontare le storie che stanno nelle notizie. Non solo: di svilupparle, ossia di toglierle dai viluppi per vedere se saltano fuori delle risposte. Di spiegarle, nel senso di appianarle per intercettare le risorse nascoste tra le pieghe.
La nostra volontà è di trasgredire più che dire, di andare oltre l’urgenza di risolvere una situazione per aprirci alla sua autentica scoperta. Tant’è che narriamo come un problema si è formato, in che modo è stato percepito e quali interpretazioni ne sono state date, quali sono i protagonisti e coloro che ne subiscono, ne hanno subito o ne subiranno le conseguenze.

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Non prestiamo attenzione solo al con-testo, dunque, ma anche al pre-testo e a quello che potremmo chiamare, con un neologismo, post-testo.
Cosa significa? Che, di ogni problema, indaghiamo le condizioni pregresse per metterlo a fuoco adeguatamente e permettere ai lettori di inquadrarlo in ogni suo aspetto. Poi, descriviamo con accuratezza l’attualità del problema, il suo impattare nel presente. Infine, ci domandiamo: e ora? Questo implica, di necessità, il post-testo, ossia ciò che potrà accadere in merito a quel problema, soprattutto in riferimento alle opzioni che sono emerse. Così facendo, non ci poniamo, come primo obiettivo, quello di cercare le soluzioni, ma di interrogare le storie: la loro profondità, il loro insegnamento, la loro peculiarità.
Il nostro è un giornalismo che non crede nella notizia estrapolata dal flusso (cioè campata per aria), ma in una notizia che vive di un prima, di un durante e di un poi. Esattamente come la vita degli esseri umani, che non è mai possibile ritagliare dallo scorrere del tempo e dalle infinite connessioni che la legano al tutto. Addirittura, per chi è spirituale, è un Tutto con l’iniziale maiuscola.
In termini morali, fare informazione così ci permette di schiudere uno spazio comune di relazione tra noi e i lettori in cui condividere l’intera storia, nella prospettiva di donare loro una maggiore consapevolezza. A partire da una migliore conoscenza del reale con tutte le ricadute che essa può avere. Per esempio, quando le persone sono chiamate a decidere in merito a questioni di interesse pubblico o a contribuire al positivo sviluppo della comunità.
Come dimostra la nostra Carta etica del giornalismo costruttivo, comunicare bene è una forma di disobbedienza a quanto verrebbe naturale fare. Appunto, una trasgressione. Di fronte a un problema, infatti, tutti ambiscono a individuare subito le vie per superare la difficoltà, la preoccupazione o la paura. Pochi decidono di espandere lo spazio di una complicazione e di farla durare nel tempo. Il tempo di una storia. Lo spazio di una, cento, mille domande. Però, è nell’ampia dimora e nella lunga attesa che narrare porta con sé qualcosa che scioglie, ridefinisce, crea.

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