Abbiamo pensato per anni che il segreto del successo fosse riposto nel trovare le risposte giuste ai nostri interrogativi, senza considerare che eravamo immersi in un ambiente VUCA (acronimo che raggruppa le parole inglesi Volatile, Incerto, Complesso e Ambiguo) che ci avrebbe dovuto spingere a riflettere non tanto sulle risposte, quanto sulle giuste domande da porci. La tecnologia, la digitalizzazione, la complessità disegnano infatti uno scenario alquanto complesso, che cambia continuamente e ci sottopone ogni giorno a nuove sollecitazioni, mettendo in dubbio le nostre più profonde certezze. Di fronte a questa realtà liquida ben descritta dal compianto Bauman, gli approcci tradizionali e passivi diventano dunque schemi anacronistici e limitativi.
Le domande intelligenti, allora, in questa dimensione così particolare, tornano ad essere la nostra bussola, le nostre più fedeli compagne di viaggio nel lavoro e nella vita, perché sono le sole in grado di sollevare dubbi, di metterci in discussione, di farci analizzare un tema da diverse angolazioni. In una realtà prismatica e sempre più ibrida, è proprio questo l’approccio che dovremmo utilizzare per provare a comprendere ciò che accade, comparando vari punti di vista e provando a slegarci dall’ancoraggio della nostra ottica.
Una domanda chiave per il giornalismo costruttivo
Il giornalismo costruttivo, da questo punto di vista, ci offre uno spunto estremamente importante, che si concretizza nella domanda in grado di andare oltre lo schema classico delle 5w, aggiugnendone una sesta, il “What now?”.
Potremmo tradurlo con un “E quindi?”, che suona un po’ da provocazione e un po’ da stimolo per chi non si accontenta delle informazioni base. Perchè se ci limitassimo allo schema tradizionale, contenuto nelle classiche news che leggiamo su quotidiani e riviste o che ascoltiamo dai Tg, rimarremmo inchiodati agli elementi che ci descrivono un accadimento, ai fatti, senza andare oltre, con conseguenze che si riflettono anche sulla nostra salute mentale. Svariate ricerche, infatti, hanno stabilito che l’esposizione prolungata e non consapevole alle notizie dei media mainstream provoca sentimenti di impotenza, pessimismo e, in definitiva, disimpegno. I bambini e gli adulti possono sperimentare depressione, ansia e insonnia attraverso l’esposizione a continue notizie negative; ecco perché il “What now” diventa una sorta di medicina naturale.
La domanda, infatti, ci proietta in una dimensione propositiva, esplorativa, innovativa, dando a noi stessi il compito di andare oltre il fatto, la notizia, per provare a immaginare un orizzonte più ampio partendo dall’analisi del contesto e per comprendere ciò che accade in maniera più strutturata, spingendoci ad una riflessione più approfondita, fino alla ricerca di esempi e buone pratiche che possano fungere da modello di riferimento per indicare una soluzione. Il nostro “E quindi?” diventerà un’esplorazione, un suggerimento e anche – seppure indirettamente – una call to action (invito all’azione) per superare delle criticità.
Dall’altra parte, nella nostra audience, avremmo un pubblico più formato, informato, attento, curioso, in grado di superare gli steccati delle breaking news che bruciano su velocità e titoli ad effetto, ma che ci tolgono il respiro e non ci danno possibilità di pensare.
Avere a disposizione quel “what now?” può fare davvero la differenza nel farci uscire dal vortice e recuperare una dimensione critica e costruttiva, infine, anche in contesti non propriamente giornalistici. Che vantaggi potremmo generare nei giovanissimi, a scuola, se portassimo il superpotere del “What now?” tra i banchi, nella didattica tradizionale?
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