Europe Beyond Access è un progetto supportato dal programma Creative Europe Programme dell’Unione Europea, mirato a promuovere l’inclusione degli artisti e artiste con disabilità nelle arti performative e la valorizzazione della forza espressiva delle diversità. L’ultima tappa del percorso, Presenti Accessibili, è in corso a Milano fino al 29 aprile 2022 negli spazi di Fabbrica del Vapore, Teatro Carcano, Palazzo Lombardia.
Organizzata da Oriente Occidente con il sostegno del Ministero della Cultura e Regione Lombardia, l’evento si sviluppa in una serie di incontri, laboratori e spettacoli che metteranno al centro il rapporto tra arti performative e disabilità con la partecipazione di artisti e artiste disabili del panorama italiano ed internazionale.
Nel suo ambizioso percorso quadriennale, Europe Beyond Access, iniziato nel 2018, ha coinvolto in una serie di eventi, prestigiosi partners su scala europea: il British Council con Arts & Disability , l’Onassis Stegi in Grecia, lo Skånes Dansteater in Svezia, la più grande compagnia di danza indipendente del paese, Kampnagel in Germania, presente in 8 sedi ad Amburgo e con un importante attività di produzione, Per.Art, che lavora da oltre 20 anni in Serbia, e i partners che organizzano i festival più importanti in ambito internazionale nel settore: l’Oriente Occidente Dance Festival in Italia e l’Hollande Dance Festival nei Paesi Passi.
La partecipazione di artisti e artiste con disabilità fisiche o sensoriali nei processi decisionali e nelle pratiche artistiche è uno dei principi dell’agenda ONU 2030 e fa capo anche al secondo valore universale in essa espresso: Leave no one behind – Non lasciare nessuno indietro. L’inclusione è anche un caposaldo della nuova agenda europea 2021-27 e uno dei 4 pilastri della Dichiarazione di Dresda, documento finale del Forum Europeo del Teatro – un dialogo ufficiale tra rappresentati del settore teatrale e delle arti dello spettacolo e i responsabili politici dell’UE.
Il riconoscimento dell’accesso alla cultura come diritto fondamentale di tutti i cittadini
Europe Beyond Access è un’iniziativa di valore fondamentale in tema di diritti e inclusione anche guardando ai numeri: pensiamo che in Unione Europea le persone disabili tra i 15 e i 64 anni sono più di 42 milioni, pari al 12,8% della popolazione in quella fascia d’età (dati 2012 Eurostat/Disability Statistics).
E se il Parlamento europeo sottolinea il riconoscimento dell’accesso alla cultura come diritto fondamentale di tutti i cittadini, secondo il report Disable Artists in The Mainstream di Europe Beyond Access, che riprendei dati delThe State of Access Report 2018 dell’organizzazione Attitude is Everything, le persone con disabilità sono ancora significativamente escluse dalla fruizione della cultura: l’82% ha sperimentato difficoltà di accesso a iniziative culturali, il 79% ha rinunciato ad acquistare biglietti, l’11% ha preso in considerazione un’azione legale.
Anche l’articolo 30 della Convenzione delle Nazioni Unite sancisce il diritto delle persone disabili ad avere, anche come pubblico, eguale accesso alla vita culturale e in particolare all’accesso “a luoghi per spettacoli o servizi culturali, come teatri, musei, cinema, biblioteche e servizi turistici”. L’agenda 2030 prende quindi in carico la messa in atto di diritti già ampiamente sanciti.
Guardando più da vicino l’Italia, il report Istat 2019 Conoscere il mondo della disabilità ci dice che il 12% delle persone disabili svolge almeno un’attività di tipo artistico – suona uno strumento musicale, canta, balla, dipinge, o scrive. Il report, supportato da un’ampia letteratura internazionale, sottolinea come la pratica e la partecipazione artistica e culturale influenzino la qualità del tempo libero favorendo il benessere psicofisico delle persone. Ma dallo stesso report emerge anche che in Italia il 21,7% delle persone con disabilità (circa 662 mila individui) si trova in condizioni di isolamento.
L’indagine condotta nei luoghi della cultura, ha invece evidenziato che nel 2015 dichiaravano di essere accessibili per le persone disabili solo il 37,5% dei musei italiani mentre solo il 20,4% prevedeva supporti per i non vedenti. (Istat 2019).
L’assenza di accessibilità una carenza italiana
L’assenza di accessibilità caratterizza particolarmente l’Italia rispetto ad altri Paesi europei. In particolare nel settore artistico, vi sono ancora molte limitazioni alla partecipazione culturale: solo il 9,3% delle persone con disabilità va al cinema, a teatro, ai concerti o nei musei (contro il 30,8% degli abili). Eppure come chiarito dalla Dichiarazione di Dresda, la cultura è un diritto essenziale della vita e della esperienza umana.

È in questo scenario che dal 2019 ad oggi si è inserita l’importante azione di Europe Beyond Access, per correggere una storica esclusione culturale e ampliare il raggio delle possibilità espressive, con particolare focus nella danza e nel teatro.
Artisti con esperienze e prospettive uniche sul mondo creano un’arte unica e innovativa
È questa una delle dichiarazioni che Ben Evans, rappresentate del Bristih Council, Direttore di Arts & Disability e del progetto Europe Beyond Access, ha condiviso durante la presentazione alla stampa di Presenti Accessibili.
Contrastare l’esclusione degli artisti e artiste disabili e facilitare l’accesso del pubblico con disabilità, sono compiti fondamentali della nostra società, non solo per la necessità di rendere l’arte e la sua fruizione possibile a tutti, ma anche per promuovere una maggiore diversificazione delle arti nello spettacolo, rendendo l’ambito culturale più ricco e sfaccettato.
“Innanzitutto riteniamo – ha affermato Ben Evans – che gli artisti con disabilità portino un punto di vista unico sul mondo, a proposito del contributo degli artisti per l’innovazione del settore delle arti. La storia dell’arte radicale è proprio riconducibile a loro, perché è una storia di artisti che si sviluppano al di fuori delle istituzioni e strutture tradizionali e che, lentamente e fortunatamente, riescono a farsi strada. Lo stiamo vedendo tradursi in realtà grazie al lavoro di questo progetto. L’esplorazione della differenza, dell’altro, aiutano tutti noi a capire meglio la società in cui viviamo”.
I 4 anni del lavoro di Europe Beyond Access, che, prorogato di un anno a causa della pandemia, proseguirà fino al 2023, hanno portato le istituzioni a rendersi conto che gli impegni dichiarati per una maggiore diversificazione delle arti nello spettacolo devono concretizzarsi in azioni. “Non solo per il bene della società – ha spiegato Evans – ma per il bene delle arti stesse. Questo è lo spirito che guida in questo percorso Creative Europe, noi del British Council, e tutti gli altri enti che hanno partecipato e partecipano a questo importante evento”.
Il sito di Europe Beyond Access ne riporta la lunga storia di eventi: workshops con compagnie riconosciute nel panorama internazionale come Candoco Dance Company, residenze d’artista con compagnie come la svedese Spinn e artiste come la performer Italiana Chiara Bersani, talks, festivals di danza e teatro, nuove produzioni, e il report Time to Act, uno studio commissionato dal British Council a On the Move – la rete internazionale di mobilità culturale – in 42 paesi partecipanti al programma EU Creative Europe – incluse Svizzera e Regno Unito. Time to Act ha indagato le soluzioni per rendere le Performing Arts più accessibili agli artisti e artiste e al pubblico con disabilità e il ruolo della conoscenza ed esperienza in questo percorso. I primi risultati del report sono stati presentati nel marzo 2021 e i dati finali nel novembre 2021. Il documento ha evidenziato tra gli altri aspetti il bisogno di una maggiore conoscenza delle opere di artisti disabili tra gli addetti ai lavori: 1 persona su 6 non ha visto produzioni di artisti con disabilità negli ultimi due anni.
Partire dalle domande
Le domande da cui è partito il lavoro di British Council, attraverso Arts & Disability sono state:
- Cosa sta facendo la nostra organizzazione per assicurare che le arti beneficino delle pratiche innovative offerte dagli artisti disabili?
- Cosa sta facendo la nostra organizzazione per abbattere le barriere che impediscono alle persone disabili di raggiungere la piena parità di accesso alle arti come pubblico e come artisti?
Interrogativi che, in Presenti Accessibili e negli eventi in tutta Europa, si è posto il British Council rivolgendoli poi a tutte le parti coinvolte nel settore della cultura: agli artisti, alle organizzazioni dedicate al supporto e allo sviluppo degli artisti disabili, alle organizzazioni mainstream, al festival, alle agenzie per lo sviluppo artistico, ai programmi di sostegno per gli artisti e a tutti gli enti e le organizzazioni che lavorano a livello di promozione internazionale.
È anche fondamentale che si pongano le stesse domande anche la stampa, la critica artistica, i conservatori, le scuole delle arti e tutte le scuole, chi lavora nell’arte a livello internazionale, chi finanzia l’arte e chi stabilisce le politiche e i parametri di amministrazione a livello locale, regionale e nazionale.
Un importante traguardo del festival Presenti Accessibili è quello di unire per la prima volta in Italia tutti questi elementi, grazie al sostegno fondamentale di Regione Lombardia, del Ministero della Cultura all’organizzazione di Oriente Occidente e al supporto finanziario di Fondazione Cariplo.
“Questo evento dimostra che qualcosa di notevole sta accadendo in Europa, ma qualcosa di ancora più notevole sta accadendo in Italia: il supporto di una generazione unica di artisti italiani con disabilità. Presenti Accessibili può essere l’inizio di una vera e propria rivoluzione – ha concluso Ben Evans.

La danza come luogo per costruire comunità
Per costruire un cambiamento nel settore dello spettacolo è necessario creare, o meglio svelare, nuovi immaginari. Per molto tempo l’immaginario principale proposto nelle arti dello spettacolo: danza, teatro, cinema, è stato quello di artisti e artiste con corpi generalmente conformi ad un certo tipo di rappresentazione.
La necessità è quindi quella di normalizzare la presenza degli artisti e artisti disabili sui palchi italiani e internazionali attraverso un grande lavoro di visione. Impegno a cui in Italia si è dedicata con passione e determinazione l’associazione culturale Oriente Occidente.
“È stata la collaborazione con la Candoco Dance Company che ha fatto si che iniziassimo a porci delle domande – racconta Anna Consolati, Direttrice Generale di Oriente Occidente – da allora abbiamo iniziato a cercare di capire perché in Italia non ci fossero compagnie di danza contemporanea che avessero dei cast che includessero anche danzatori con disabilità”.
Oriente Occidente è un’associazione culturale nata nel 1981a Rovereto, che si dichiara ‘ponte tra est e ovest, tra il nord e il sud, tra la forma e il contenuto, tra l’etica e l’estetica, tra il passato e il futuro’. Attraverso il linguaggio universale della danza e del teatro, da più di 40 anni Oriente Occidente promuove la contaminazione tra la tradizione artistica orientale e la sperimentazione occidentale, incoraggia lo scambio e la diversità culturale, la fusione e contaminazione di generi e linguaggi diversi della danza contemporanea. Per Oriente Occidente la danza e il teatro sono sempre stati mezzi per costruire comunità.
È nel 2014 che, attraverso la lungimiranza del suo Direttore Artistico Lanfranco Cis, l’associazione compie una precisa scelta artistica, portando all’Oriente Occidente Dance Festival la compagnia internazionale Candoco Dance Company. Fondata del 1981 da Celeste Dandeker-Arnold OBE e Adam Benjamin, è una compagnia internazionale di artisti e artiste disabili e abili. Ampiamente riconosciuta e con base a Londra, Candoco si definisce “la compagnia di danza più inclusiva al mondo, che espande continuamente la percezione di ciò che la danza possa essere”.
Il loro Set and Reset/Reset sarà presentato all’interno del festival Presenti Accessibili a Milano il 28 aprile al Teatro Carcano, come spettacolo di chiusura di una trilogia di danza che includerà anche Feeling Good di Fondazione Nazionale della Danza e Aterballetto – con coreografia di Diego Tortelli, e Fine Lines della Skånes Dansteater con coreografia di Roser Lopez Espinosa.
Lo spettacolo che porterà in scena Candoco è una reinterpretazione del celebre Set and Reset, che con la sua premiere nel 1983 alla Brooklyn Academy of Music, ha trasformato la storia della danza: coreografia di Trisha Brown, musica di Laurie Anderson, scenografia e costumi di Robert Rauschenberg, luci di Beverly Emmons, Set and Reset è uno dei capolavori della danza postmoderna.
“Set and Reset/Reset di Candoco è un bellissimo esempio di come una coreografia come quella di Trisha Brown possa essere riscritta per una compagnia che vede al suo interno interpreti abili e disabili – commenta Anna Consolati.
Oriente Occidente ha iniziato così, nello scenario di come era ancora percepita la disabilità 7-8 anni fa in Italia, ad interrogarsi sulle possibilità oltre le pratiche sociali e aggregative, per capire come incidere e aprire lo sguardo sul mondo della disabilità. Il messaggio dell’incontro di culture, che distingueva l’associazione, stava per estendersi anche all’incontro di corpi che avessero una diversità.
“Abbiamo iniziato a dare voce a queste domande nel 2018, entrando come partner in Europe Beyond Access – spiega Anna Consolati – Da quel momento abbiamo pensato che un progetto europeo di questa portata, finanziato per 4 milioni di euro, con una grossa rete di relazioni e un partner italiano, dovesse impegnarsi perché i famosi principi dell’agenda 2030 potessero trovare un’attuazione all’interno del sistema italiano della cultura”.

In questo tentativo Oriente Occidente ha aperto un dialogo con il Ministero della Cultura e con Regione Lombardia per interrogarsi sul modo in cui modelli già attivi all’estero potessero concretizzarsi anche in Italia.
“Abbiamo allargato gli scenari attraverso una ricerca artistica ed estetica perché il punto è portare le persone e gli artisti e artiste con disabilità all’interno della sfera degli immaginari – continua la Direttrice di Oriente Occidente – Come fruitori ma anche come creatori e creatrici di arti contemporanee in Italia. Perché le persone con disabilità non siano più solo accomunate al campo sociale. Mostriamo che ciò che gli artisti e artiste disabili producono è arte, non sono progetti pietistici, ma strumenti e nuove possibilità di ricerca per il comparto delle arti performative”.
Negli anni dal 2018 ad oggi le politiche inclusive di Oriente Occidente hanno portato un progresso visibile anche dai numeri: nel 2018 erano 7 le persone tra artisti, artiste operatori e operatrici culturali con disabilità coinvolte nell’Oriente Occidente Dance Festival, il numero è salito a 26 nel 2020 e 42 nel 2021. Per quando riguarda il pubblico, anche gli spettatori e spettatrici disabili del festival sono aumentati, se nel 2018 erano 4, nel 2020 sono saliti a 38 nel una stima analoga riguarda il 2021.
Tra i progetti di Oriente Occidente che hanno contribuito al cambiamento, all’interno del progetto Europe Beyond Access, nel 2019 si è tenuta una residenza artistica che ha visto protagoniste Chiara Bersani, performer e autrice italiana affermata a livello internazionale di Al.Di.Qua.Artists – la prima associazione italiana ed europea di e per artisti e artiste, lavoratori e lavoratrici dello spettacolo con disabilità – e Danskompaniet Spinn, compagnia di danza contemporanea con sede a Gothenburg in Svezia, formata da danzatori e danzatrici con e senza disabilità.
Dall’incontro tra Chiara Bersani e la direttrice artistica di Spinn Veera Suvalo Grimberg è nata Moby Dick, prima coproduzione di Oriente Occidente debuttata a Rovereto durante la 41° edizione di Oriente Occidente Dance Festival nel 2021. Reinterpretando il capolavoro di Herman Melville Chiara Bersani progetta su commissione una coreografia per quattro danzatrici abili e con disabilità della compagnia svedese.

“Ci siamo interrogati sul perché non si fosse mai andati oltre certi tipi di progetti legati al teatro sociale – racconta Anna Consolati – Faceva paura prendere in carico istanze come l’accessibilità e la diversità e lavorare con corpi completamente diversi da noi, persone abili che lavoriamo all’interno di istituzioni culturali. Ma erano immaginari mancati, pubblici mancati, parti della popolazione per cui diciamo di lavorare in quanto istituzioni finanziate dall’ente pubblico, dimenticate. E allo stesso tempo mancavano di presentare dei possibili modelli di ruolo”.
La danza è il mezzo espressivo del progetto pilota di Oriente Occidente sia perché è sempre stata la forma principale della ricerca artistica dell’organizzazione di Rovereto, sia perché è il progetto che spinge più oltre le possibilità.
“Lavorare con la danza significa mettere quel corpo con diversità sotto i riflettori al centro della scena – spiega Anna Consolati – per noi che facciamo danza e lavoriamo sui corpi è questo l’aspetto più interessante, che arriva come spinta rivoluzionaria nei confronti di un balletto che imbrigliava i corpi in certe dinamiche. È un modo di sperimentare quanto la danza contemporanea possa evolvere, fare ricerca, quanto il limite stia non nei corpi ma nello sguardo di chi osserva, e nella mancanza di possibilità formative per un corpo che sia diverso da quello che noi definiamo ‘normale’. Sul nostro percorso abbiamo trovato artisti con disabilità che già lavoravano e che stavano portando avanti questa ricerca. Coreografi, danzatori e danzatrici e altri artisti e del settore che stanno ora lavorando e producendo molto in Europa: Giuseppe Comuniello, Artistide Rontini, Chiara Bersani. Per noi adesso è importante che rimangano a lavorare anche in Italia, che ci siano delle strutture e possibilità per loro e per chi verrà dopo, vogliamo che si allarghi più possibile l’immaginario di chi può stare su quei palchi, perché come dice l’artista Diana Anselmo, ‘Il contrario della disabilità non è un corpo sano ma è l’accessibilità’”.

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Il cambiamento può avvenire solo in dialogo con chi lo agisce
Il cambio degli immaginari e il ripensamento del sistema delle arti performative in una sfera più inclusiva è possibile solo coinvolgendo gli artisti e le artiste con disabilità nel dialogo ai tavoli decisionali, abbattendo una barriera che per molti anni, escludendoli, ha aumentato il divario.
“Gli artisti con disabilità devono partecipare al dialogo con noi perché sono loro i primi portatori di interesse – racconta Anna Consolati – Questa è stata la cornice in cui abbiamo iniziato i dialoghi con le altre istituzioni culturali. Questo approccio ha convinto le istituzioni a prendere parte al progetto e ha permesso che anche io, come rappresentante di Oriente Occidente, potessi lavorare e agire come alleata di artiste e artisti che avevano una propria voce”.
Anche il report Time to Act di On the Move ha fatto emergere che le organizzazioni, per essere più inclusive, devono iniziare un processo di ‘unlearning’ (disimparare per ricostruire le proprie basi) e il miglior modo per farlo è ripartire sotto la guida di persone con disabilità, secondo il principio Nothing about us Without us. – Niente che riguardi noi Senza di noi.

L’importanza della partecipazione al dialogo con le istituzioni e con gli enti organizzatori del settore dello spettacolo è sottolineata anche da Chiara Bersani di Al.Di.Qua.Artists.
“Grazie alla lungimiranza di Anna Consolati e di Oriente Occidente abbiamo avuto delle possibilità di spazi, di ascolto da parte delle istituzioni, di autonomia. Il tutto con delle risorse economiche, un lusso che l’attivismo non permette mai di raggiungere. Questo è stato il nostro punto di partenza per iniziare una ricostruzione – spiega Chiara Bersani che riconosce a Europe Beyond Access diversi meriti: a livello europeo l’aver distribuito le economie lasciando ai partners dei diversi paesi la libertà su come usarle, e a livello italiano, ad Anna Consolati e al suo team, per avere accolto la richiesta di Al.Di.Qua.Artists sostenendo anche economicamente la loro nascita come associazione di categoria.
“Pongo l’accento sulla questione economica – continua Chiara Bersani – perché è un elemento troppo spesso dimenticato quando si parla sia del mondo artistico che del mondo sociale. Quando poi queste due realtà si incrociano è ancora più sottovalutato. Ma stiamo parlando di diritto al lavoro, e l’aspetto economico è quindi fondamentale. Siamo lavoratori e lavoratrici ed è vitale ci sia un sostegno economico alla base delle nostre azioni, anche perché il nostro attivismo va a modificare, cambiare e informare il sistema produttivo, che è un sistema economico”.
La partecipazione al progetto europeo ha anche portato molti artisti con disabilità italiani ad avere occasioni di lavoro importanti in tutta Europa: collaborazioni con altre compagnie, esperienze di alta formazione. “Ha permesso in generale un movimento che per persone con disabilità è un po’più complesso – spiega Chiara – l’altro elemento positivo per noi è stata la possibilità come gruppo Al.Di.Qua.Artists di dialogare con i colleghi che arrivavano da esperienze all’estero, e chiedere loro: cos’è che non ti è piaciuto di quando hai lavorato in Inghilterra? o in Svezia? Quindi, nel percorso di immaginare un nuovo modello italiano, o del Sud Europa – l’area che più necessita di politiche riguardanti disabilità e arte – abbiamo avuto il privilegio di poter guardare agli errori fatti da chi aveva iniziato prima di noi per non ripeterli. Da parte dell’intero progetto europeo c’è stata una grande accoglienza delle nostre posizioni quando abbiamo voluto distaccarci da determinate dinamiche”.
Sono ben 47 le istituzioni culturali italiane che, su iniziativa di Oriente Occidente, hanno sottoscritto un protocollo d’intesa per la creazione della Rete italiana Europe Beyond Access 2021-2023. Un network di alleati sensibili ai temi dell’accessibilità che si sono impegnati a intraprendere il dialogo e lo scambio sui temi dell’inclusione nelle arti performative: tra le altre Ater Fondazione – Circuito Teatri Emilia Romagna, Piccolo Teatro di Milano, Centro Nazionale di Produzione Virgilio Sieni di Firenze, Fondazione Armunia di Castiglioncello, l’Accademia Nazionale di Danza di Roma, Comune di San Vito dei Normanni.
L’impegno da parte di tutte le istituzioni che fanno parte della rete è ora proprio quello di iniziare a interrogarsi e di farlo insieme agli artisti e artiste con disabilità.
Anche il programma della 3 giorni di Milano è pensato in questa prospettiva: Presenti Accessibili metterà in dialogo tutte le parti che lavorano nelle arti performative: gli enti finanziatori, le istituzioni culturali, i produttori, gli artisti e artiste, i pubblici. Molto importante sarà in questo senso il convegno del 29 aprile a Palazzo Lombardia che vedrà la partecipazione tra le varie parti di Ben Evans di Arts and Disability, delle Direttrici artistiche Charlotte Darbyshire (Candoco) e Mira Helenius Martinsson (Skånes Dansteater), del Presidente della Commissione Cultura svedese Magnus Lunderquist, della Dirigente Attività culturali integrate Graziella Gattulli, della Consulente del Ministero della Cultura Donatella Ferrante.
“Sono stai creati più appuntamenti che speriamo possano dare una visione più possibile organica della tematica e delle possibilità future perché siamo solo all’inizio, Presenti Accessibili è la fine di un quadriennale europeo e allo stesso tempo può essere l’inizio di nuovi approcci e nuove possibilità di ricerca in campo italiano – commenta Anna Consolati.

Non chiederti cosa sia la disabilità, è la domanda sbagliata, chiediti invece cosa ci rende disabili
Il 23 marzo scorso, al cinema Sacher di Roma, è stato presentato il video manifesto di Al.Di.Qua. Artists – acronimo di ALternative DIsability QUAlity Artists – in un evento che ha anticipato la manifestazione di Milano.
Il video, di forte impatto emotivo, attraverso le voci degli artisti e artiste di Al.Di.Qua.Artists pone una serie di domande, portando il pubblico a interrogarsi sull’idea stessa di disabilità.
Se quel limite che ancora divide persone abili e disabili inizia nella mente umana, e l’esclusione è generata dalla società, è quindi necessario pensare in modo diverso tutti i corpi, distaccandosi dall’idea di un corpo ideale, che diventa una forzatura e un limite per tutti noi.
“Non chiederti cosa sia la disabilità, è la domanda sbagliata, chiediti invece cosa ci rende disabili – dice nel video Claudio Gaetani, docente di linguaggio cinematografico, regista e fotografo.
Al.Di.Qua.Artists, nelle parole del performer e coreografo Artistide Rontini, si definiscono “orgogliosamente portatori e portatrici di corpi disabilitati”.
“Non siamo la nostra disabilità – commenta Chiara Bersani – essa è parte della nostra identità e noi, come associazione di attiviste e attivisti, la rivendichiamo, ne facciamo anche un segno di orgoglio. Ma è solo una parte, siamo molto più complesse e complessi. Siamo prima di tutto cittadini e cittadine con il diritto e il dovere di essere attivi per quanto le nostre energie e possibilità ce lo consentano. Abbiamo il diritto al lavoro, a scegliere la professione che ci interessa e a formarci in quella direzione. Portiamo avanti la nostra questione per mostrare che c’è un problema, e non solo a livello italiano. Troppo raramente si ricorda che le persone con disabilità hanno diritto ad essere lavoratrici e lavoratori”.
Per l’associazione l’appuntamento a Roma è stato un momento molto importante. Un modo per lanciare un messaggio anche al mondo del cinema, che in modo più forte costruisce gli immaginari: “Iniziate a guardarci per come siamo realmente, che è un po’ diverso da come ci immaginate – dice Chiara Bersani.
Al.Di.Qua.Artists nasce ufficialmente nel 2020, quando, dopo la prima uscita pubblica diventa associazione. È è il primo lockdown del 2020 il momento in cui gli artisti e artiste di Al.Di.Qua.Artists iniziano a vedersi in modo più strutturato.
“All’inizio eravamo veramente pochi – spiega Chiara Bersani – due, tre, ed era un po’ difficile per noi parlare a nome di una collettività che di fatto non esisteva, perché se esistevano i singoli artisti, non c’era mai stato un pensiero comune, un tentativo di creare gruppo. Per questo avevamo cercato tra noi di parlarci e trovare soluzioni”.
Con il sostegno di Europe Beyond Access, Al.Di.Qua.Artists si è potuta in quei mesi avvalere della collaborazione di una sociologa, Mariella Popolla, che, attraverso dei focus privati, ha aiutato gli attivisti e attiviste dell’associazione a mettere a fuoco la loro identità. Al.Di.Qua.Artists era formata da artisti e artiste che arrivavano da ambienti diversi, che non avevano mai collaborato insieme e che si stavano trovando in una dinamica a distanza, senza avere la possibilità di vivere le esperienze tipiche dell’attivismo, come la condivisione di spazi. Per loro era quindi fondamentale allinearsi e definire il range di azione e opinione che intendevano tenere aperto.
“La pandemia è stato un momento di possibilità: vedendo il nostro mondo lavorativo crollare – mi riferisco al mondo del live e delle arti performative – e constatando che a livello ministeriale mancava una consapevolezza del settore stesso, abbiamo pensato di usare quel tempo per costruire qualcosa di più solido in modo che dopo la ripresa potessimo diventare una voce più strutturata – racconta Chiara Bersani.
Il seguito si è concretizzato quando Europe Beyond Access è stato avviato in Italia e si è avuta una risposta a livello ministeriale.
Da quel momento Al.Di.Qua.Artists ha iniziato ad aprirsi anche ad altri mezzi espressivi – inizialmente l’associazione era composta infatti da artisti e artiste del mondo della danza, che tuttora rimangono in prevalenza – ma oggi fanno parte del team anche artisti come Claudio Gaetani che viene dal cinema, o Diana Anselmo, studioso universitario e performer.
“Quest’anno abbiamo iniziato a cercare altre persone sia tra i giovanissimi che stanno studiando e che vorrebbero fare questo lavoro, che tra quegli artisti che lo fanno da anni ma essendo in circuiti ancora molto off, non sono sufficientemente conosciuti – spiega Chiara Bersani.
“I’m not your inspiration” è la voce che amplificano gli artisti e artiste di Al.Di.Qua.Artists al termine del loro video manifesto, riprendendo una frase di Stella Young, drammaturga, giornalista e attivista australiana con disabilità morta nel 2014. “I’m not your inspiration, thank you very much” è anche il titolo di un suo famoso TED talk nel quale smonta con ironia i pregiudizi legati alla disabilità e in particolare l’idea secondo la quale le persone con disabilità vengono spesso proposte come ‘oggetti di ispirazione’ attraverso quella che Stella Young chiama ‘pornografia motivazionale’ a beneficio delle persone abili.
“Sono qui per dirvi” dice Stella Young nel suo TED per riportare un approccio più naturale rispetto il tema disabilità “che ci hanno mentito a proposito della disabilità. Ci hanno propinato la menzogna che la disabilità sia qualcosa di negativo e che vivere con una disabilità renda eccezionali. Non è qualcosa di negativo e non rende eccezionali. Le persone disabili stanno solo usando i loro corpi al meglio delle loro capacità”.

Disabilità visibili e invisibili. L’arte a rivendicare l’imperfezione dei corpi
Più ci si addentra nelle tematiche riguardanti la disabilità, più viene da riflettere sul limite tra l’essere abili e disabili, e chi lo stabilisca. Può sembrare più facile quando le disabilità sono evidenti, ma come facciamo i conti con le disabilità invisibili?
Chiara Bersani nella conferenza stampa di Presenti Accessibili ha dichiarato: “Era fondamentale che la nostra associazione si riconoscesse subito in un canale molto preciso. Noi cerchiamo di individuare le esigenze, di tutelare i diritti dei lavoratori e lavoratrici del mondo dello spettacolo, e aprire degli spazi di confronto. Desideriamo inoltre che non ci sia un focus su una disabilità specifica: le disabilità sono tantissime, sono complesse, sono visibili e invisibili, sono spesso anche molto sottili e nascoste. Molte delle persone probabilmente sedute in questa sala hanno esperienza diretta ma non lo dichiarano, perché è qualcosa che provoca imbarazzo e vergogna. Per questo è fondamentale parlarne, anche per liberare il termine disabilità dai significati pesanti e negativi che gli sono stati dati”.
Il desiderio di Al.Di.Qua.Artists è che le varie disabilità dialoghino tra di loro, perché, il dialogo fra disabilità ed esigenze diverse apre scenari e possibilità enormi.
“Si, perché a volte capita di focalizzarsi su un’unica specifica esigenza di un’unica specifica comunità, a livello di accessibilità culturale, e si abbraccia un unico mondo escludendo tutti gli altri, che per paradosso si trovano esclusi in un tentativo di inclusione – prosegue Chiara Bersani – Ma si può ribaltare il sistema e affrontare il tema dell’inclusione seriamente come è stato fatto da Oriente Occidente”.
Gli artisti del nucleo forte di Al.Di.Qua.Artists sono 6, un numero ancora basso se si pensa che sono tra gli artisti più in vista in Italia. Consapevole della necessità di allargare le possibilità e guardare al futuro, l’associazione si è subito attivata per far parlare altre persone negli spazi di espressione a loro disposizione.
Ne è esempio il focus dedicato all’interno di Presenti Accessibili al mondo dell’arte e della cultura sorda, ancora ampiamente escluso dal mondo mainstream, nonostante la sua lunga storia di attività e di opere. Alla manifestazione saranno presenti alcuni artisti a rappresentare questo universo, i quali presenteranno il loro lavoro declinato al loro mondo di appartenenza.

Un’altra conseguenza importante generata dal fare luce su tematiche generalmente rimosse dalla società, è che quando qualcuno, in questo caso un’artista, si espone in prima persona come portavoce di una causa e lo fa attraverso la sua esperienza personale, abbatte un tabù, e rende più facile per tutti parlarne, diventando non solo un punto di riferimento, ma anche una persona di fiducia alla quale poter depositare una storia personale taciuta per molto. In un movimento virtuoso nasce così per tutti la possibilità di legittimarsi nella propria imperfezione di corpi e di esseri umani.
“Quando Al.Di.Qua.Artists ha iniziato a muovere i primi passi– racconta Chiara Bersani nella nostra intervista – mi ha profondamente commossa ricevere delle telefonate di alcune colleghe e amiche molto care che mi chiedevano di rimanere anonime e mi raccontavano delle loro disabilità invisibili e di come debbano stare molte attente a non dichiararle, perché se nei circuiti in cui lavorano si venisse a sapere, ad esempio che hanno una disabilità per la quale dopo una data devono stare a letto tutto il giorno, allora non verrebbero più chiamate perché considerate non affidabili”.
Anche questa un’altra forma di discriminazione enorme e che testimonia ancor di più quanto il mondo delle disabilità e la conseguente discriminazione sia sfaccettato e possa veramente riguardare tutti.
“Non sentitevi al sicuro perché questo atteggiamento violento e pericoloso non riguarda altre persone rispetto a voi ma riguarda i corpi. Tutti. I corpi che invecchiano. I corpi che si spezzano. I corpi che si ammalano. Il corpo abile è una favola creata per perpetrare il solito, fragile, racconto. Quello che dice che esistono una maggioranza conforme e una minoranza deviante divise tra loro da una confortevole, invalicabile, linea – dice Chiara Bersani in un intenso intervento pubblicato sulla pagina instagram di Al.Di.Qua.Artists.
La necessità di un sistema di tutela italiano che rispetti tempi di produzione sostenibili ed esigenze di tour
E se la comunità degli artisti con disabilità, grazie anche al lavoro delle sue figure di spicco nel panorama italiano come il danzatore Giuseppe Comuniello, il performer e coreografo Artistide Rontini, o Chiara Bersani, ha negli ultimi anni fatto un salto avanti verso il riconoscimento, esistono ancora delle forme di discriminazione da contrastare, come la mancanza di un vero e proprio sistema di tutele rispetto le condizioni di lavoro.
“Il fatto che noi siamo riusciti a conquistarci una posizione e ad avere riconoscimento lavorativo non ha cambiato per ora ancora molto le cose per i giovani. Io credo che la nostra responsabilità da artisti adulti sia guardare in quella direzione – spiega Chiara Bersani.
Le questioni urgenti di cui ci parla l’artista di Al.Di.Qua.Artists sono principalmente due:
- Tempi di produzione sempre più stretti e concitati. Un corpo con disabilità può far fatica a stare negli attuali tempi di produzione e può avere bisogno di altri tempi, che sarebbero sani anche per altri corpi. “Lavoriamo in generale nel mondo dello spettacolo in tempi produttivi che non vanno bene in ma che i nostri corpi patiscono di più – spiega Chiara – La questione è che non si riesca neppure ad aprire un dialogo sulle tutele da questo punto di vista. Tutto è sempre in mano al buon cuore del o della regista che ti hanno chiamata, perché non esiste una salvaguardia a priori che garantisce che siano rispettati determinate esigenze per le persone con disabilità. Questo è il primo problema, perché gestire tutto nel rapporto contrattuale comporta enormi rischi, anche di mobbing, che esiste nel nostro ambiente”.
- Le problematiche nella gestione delle tournée. “L’Italia – spiega Chiara – è un paese di artisti che vanno in tour, a parte i teatri stabili che hanno una situazione a sé. Tutto il mondo del teatro e della danza prodotto dai festivals o dai bandi, molto ricco in Italia, avviene in tournée. Un paese la cui economia artistica è basata sul tour non può non avere un pensiero sui tempi e la gestione delle tournée per le persone con disabilità. E invece non esiste, nel senso che di nuovo è tutto basato sui contratti dei singoli artisti, che però devono avere una forza contrattuale per vedere i propri diritti rispettati”.
Si, perché per gli artisti indipendenti non è facile avere forza contrattuale.
“In particolare se sei invitato da un grande festival e sei un artista che non ha uno staff alle spalle, che comprenda una consulenza amministrativa, un legale, e tutta una serie di figure che compongono l’enorme macchina amministrativa e produttiva, allora accetterai le condizioni che ti vengono proposte perché non hai né il potere, né la possibilità di prenderti il tempo di pensare a cosa hai bisogno”.
Per Chiara Bersani, e altri artisti come lei che lavorano molto in tour è quindi tutto basato su una rete di sostegno interna alla compagnia che si muove con lei, e di trattative da costruire di volta in volta con i festivals ospitanti.
Il risultato, spiega Chiara, è che gli artisti disabili in Italia che lavorano, sono tutti artisti e artiste che in qualche modo nei loro corpi sono privilegiati. “Ci sono artisti che hanno una qualità di lavoro molto alta e con esigenze diverse rispetto a noi. Vogliamo che possano andare in tour, e vivere del loro lavoro ma per fare questo serve un vero sistema di tutela – mettere ed esempio in chiaro nel contratto che ci sarà un giorno in più in cui l’artista dovrà stare ad un festival, perché si dovrà riposare dopo il viaggio, o che dovrà esserci il supporto di uno staff. E di nuovo ci intrecciamo con una questione legata alla disabilità in generale, perché in Italia non è regolamentata a livello nazionale l’assistenza ad personam e la soluzione è quella di assistenti privati che il cittadino paga autonomamente, oppure, a livello comunale e regionale esistono dei fondi ma sono complessi da ottenere e con iter differenti a seconda delle regioni. La situazione laddove la complessità di una persona e della gestione del suo corpo supera una certa soglia è l’istituzionalizzazione, il che per noi è un problema enorme. Ci sono persone di 40 anni che vengono ricoverate in istituto quando attraverso altre soluzioni potrebbero ancora vivere una vita libera – racconta Chiara.
E. questo riguardo d’esempio sono le politiche nel Nord Europa, “se io andavo in Svezia, o ad Amsterdam e volevo avere una riunione con un artista con disabilità che mi interessava” racconta Chiara “questa persona mi diceva semplicemente ‘dimmi dove sei che io ti raggiungo’, e poteva muoversi grazie ad un parterre di due o tre assistenti che gli venivano assegnate dal Comune, avendo quindi autonomia completa, per me un traguardo incredibile”.

L’importanza della formazione: costruire un rapporto di fiducia tra allievi con disabilità e Accademie
Il report Istat 2019 sul mondo della disabilità ha analizzato, sotto diversi aspetti, il mondo della formazione.
È stato nel 1999 che in Italia si è iniziato a porre l’attenzione sull’integrazione universitaria degli studenti con disabilità. Attraverso la legge n. 17/99 si sono iniziate a garantire per gli studenti universitari con disabilità diverse tutele: sussidi tecnici e didattici, servizi di tutorato specializzato, trattamenti individualizzati in occasione degli esami universitari.
In anni recenti il sistema scolastico ha beneficiato di nuove normative: la legge 107 del 2015, nota come “legge della Buona Scuola”, con il d.lgs. n. 66 del 2017 ha stabilito nuove norme in materia di inclusione degli studenti con disabilità, al fine di rafforzare la partecipazione e la collaborazione delle famiglie e delle associazioni nei processi di inclusione scolastica, sottolineando l’importanza della formazione degli insegnanti.
Nel maggio 2019 Il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto che, modificando il decreto 66/2017 collegato alla Buona Scuola, rivede l’approccio rispetto l’inclusione scolastica in Italia: la disabilità è data non solo dalle condizioni di salute della persona ma anche dal contesto.
Una dichiarazione importante perché il nuovo decreto sposta quindi l’attenzione dal soggetto a tutto ciò che gli sta intorno, perché sia adeguato alle sue concrete ed effettive esigenze.
“In Italia” spiega Chiara Bersani, che come figlia di insegnante, sente particolarmente importante il tema formazione “esistono sicuramente eccellenze per quanto riguarda l’inclusione scolastica, ma si apre una grande voragine andando verso l’età adulta e la persona con disabilità in generale in Italia scopre un enorme complessità. Già alle scuole superiori ci si accorge che alcune disabilità iniziano a fare fatica nel trovare spazio e tutela, quando poi si passa al mondo dell’università o della formazione superiore di secondo grado, la situazione è molto complessa. Per questo il numero di persone con disabilità laureate è molto basso, se poi si inizia ad andare nello specifico di chi si è laureato in corso, o frequentando, si arriva a dei numeri veramente esigui rispetto a chi si è diplomato. Nel mondo delle accademie e della formazione artistica c’è un grande vuoto legislativo e culturale, l’aspetto sul quale stiamo cercando di lavorare di più”.
Il report Istat 2019 riporta, tra gli altri, i dati 2017 riguardanti la quota di persone con disabilità che hanno raggiunto i titoli di studio più elevati – diploma di scuola superiore e titoli accademici. Il risultato è significativo nel mettere in luce il divario; le percentuali sono pari al 30,1% per gli uomini e al 19,3% per le donne con disabilità, a fronte del 55,1% e 56,5% per il resto della popolazione.
Un’altra analisi Istat del 2017 ha indagato la percentuale di alunni delle scuole secondarie di II grado per presenza di disabilità e tipo di scuola, testimoniando che la maggioranza di allievi con disabilità sceglie istituti professionali e tecnici, per un totale di 52,95%, contro solo il 4,21% che sceglie un’istruzione artistica. Questo indica che le persone con disabilità preferiscono generalmente indirizzarsi verso un percorso scolastico che non richieda necessariamente una prosecuzione universitaria.
Dati positivi sono invece che negli ultimi anni, la presenza degli alunni con disabilità nelle scuole, risulta sensibilmente aumentata: passando da poco più di 200 mila iscritti nell’anno scolastico 2009/2010 (2,2 % degli iscritti complessivi) a oltre 272 mila nell’a.s 2017/2018 (3,1 % degli iscritti complessivi) (dati MIUR), si riscontra anche nello stesso arco di tempo un aumento del numero di insegnanti per il sostegno che passano da 89 mila a circa 156 mila subendo una crescita di circa il 75% (MIUR).
Nel complesso, il nostro sistema scolastico ha deciso di perseguire diversi obiettivi sul tema disabilità negli anni più recenti: la formazione e la stabilizzazione degli insegnanti di sostegno; la configurazione della scuola come soggetto responsabile della presa in carico globale dell’alunno con disabilità; l’aumento degli investimenti sulle nuove tecnologie in modo da migliorare i livelli di integrazione.
Progressi che con strategie dedicate, dovrebbero essere supportati anche nelle Accademie di Teatro e Danza per incoraggiare la presentazione di domande di ammissione da parte dei giovani artisti e artiste con disabilità. Le domande sono infatti rarissime se non nulle, la paura è quella del rifiuto, non essendoci una storia di inclusione consolidata in questo ambito in Italia.
Nella presentazione del report finale Time to Act, Yohann Floch, uno dei suoi autori e consulente culturale di On the Move, riporta la testimonianza del principale insegnante di recitazione di una prestigiosa Accademia di Teatro in Polonia. L’insegnante ha dichiarato di non aver visto in tutta la sua carriera una sola applicazione presentata da parte di un artista disabile, pur ricevendo annualmente migliaia di candidature per soli 20 posti. La conferma che esista un pregiudizio da combattere, e una fiducia da costruire.
La stessa Chiara Bersani riporta una sua esperienza spiacevole, raccontando quando, all’età di 22 anni si propone con un importante curriculum ad una scuola di formazione per danzatori, danzatrici e performer. La Direttrice Artistica di quella scuola aveva visto Chiara in scena con un lavoro con Lenz Rifrazioni, compagnia di teatro di ricerca molto importante con base a Parma, e aveva espresso apprezzamenti verso il suo lavoro. Nonostante questo Chiara riceve un rifiuto alla sua richiesta di ammissione. E quando stupita ne chiede il perché le viene risposto che la questione non aveva a che fare con il suo curriculum o le sue competenze ma con la paura da parte di chi gestiva la scuola di non saper affrontare un percorso con lei.
“Ero molto giovane, ed essendo oltretutto una fase formativa, dove si dovrebbe essere più inclini all’apertura, era stata per me un’esperienza molto dolorosa” ricorda Chiara.
“Come Al.di.qua.Artists abbiamo provato a parlare con alcune Accademie, chiedendo perché non avessero nessun allievo con disabilità nel loro storico.
Ci veniva risposto che l’accademia era tutta accessibile, e che il problema era che le persone con disabilità non si candidavano. E quindi ancora: non ci candidiamo perché le risposte sono troppo spesso dei no da parte delle Accademie, quindi non c’è una fiducia, e bisogna riconquistare la fiducia di intere categorie che non hanno potuto costruirla”.
Chiara Bersani pone un altro interrogativo: nel momento in cui una persona di 20 anni con disabilità si proponesse all’audizione di un’importante Accademia italiana, le commissioni di selezione sarebbero in grado di reggere quel corpo? e il corpo docenti sarebbe in grado di affrontare il programma scolastico includendo quella persona e artista in modo che compia lo stesso percorso dei compagni e delle compagne al pari degli altri senza che le vengano proposti percorsi alternativi?
Siamo quindi davanti ad un sistema che va completamente re-immaginato.
“Ed è pericoloso risolverla con le quote, perché gli allievi disabili si potrebbero trovare in una situazione che non è pronta ad accoglierli e quindi a vivere esperienze anche peggiori rispetto anche all’esclusione iniziale” spiega Chiara.
Per questo Al.di.qua.Artists sta chiedendo in modo forte che si inizi a ripensare la formazione dei docenti e delle docenti, per capire quale possa essere un sistema di inclusività per le persone con disabilità nel rispetto dei diritti di tutti. E poi ovviamente estendere l’azione al mondo del lavoro.

“In questo senso riformare gli immaginari è fondamentale. Le volte in cui mi capita di ricevere messaggi da parte di ragazze disabili” racconta Chiara “sono sempre molto felice di poter essere un riferimento per loro, ma mi dispiace quando mi chiedono dove potrebbero andare a studiare e io non ho risposte. Sono passati più di 15 anni da quando ho iniziato, e se da un lato stiamo riuscendo ad abbattere dei muri, dall’altro ancora non abbiamo idea di come indirizzare chi sta iniziando”.
Necessità di creare modelli per il futuro
Un altro impegno consapevole degli artisti e artiste disabili della generazione presente ma che dovrebbe essere preso in carico da tutto il mondo dello spettacolo, è quello di creare dei modelli di riferimento perché i giovanissimi artisti e artiste con disabilità che si stanno formando in questi anni abbiano degli esempi a cui poter guardare.
“Una cosa che diciamo sempre è che se il mondo non ci propone dei modelli vicini a noi è difficile che una bambina o una ragazzina sogni di fare l’attrice. Se non vede esempi davanti a sé, spesso non si permette neppure quel sogno”. Spiega Chiara Bersani.
Parlando dei suoi anni di formazione Chiara Bersani ricorda: “A me questo aspetto è mancato da morire. Quando dicevo alle persone che volevo fare danza o teatro, non avevo un riferimento per dire ‘come quell’artista’ perché quell’artista non c’era”.
Chiara osservava a volte il pianista jazz Michel Petrucciani, che aveva il suo stesso disordine genetico, “ma era ovvio che fosse un riferimento quasi irreale, era come dire che volevo fare la cantante e guardavo David Bowie. Avrei avuto bisogno di esempi più reali e vicini. L’unica persona a cui ogni tanto mi ispiravo – ed essendoci conosciuti da poco gliel’ho anche detto – era Filippo Timi.
Nelle sue interviste parlava della sua balbuzie e del fatto che fosse ipovedente, quindi a volte mi dicevo ‘dai, se c’è posto per lui, forse può esserci anche per me’. Ma lo facevo senza convinzione, perché toccavamo questioni troppo diverse, il mio è un corpo troppo impattante per essere accostato al suo. Filippo Timi è un bellissimo uomo, con un corpo allineato ad una norma anche molto cinematografica, ed eravamo nel suo caso più nell’ambito delle malattie invisibili, anche se invisibili di fatto non sono”.
Per parlare di questa mancanza Al.di.qua.Artists usa molto un immaginario popolare come quello del cinema. E fa notare che spesso, anche quando si tratta di interpretare ruoli di persone con disabilità, la scelta va a nomi noti più che ad attori o attrici disabili.
“Un casting director che deve mettere insieme un cast in poco tempo e a cui servono protagonisti famosi, che siano dei nomi che risuonano, non prova neppure a chiamare degli artisti con disabilità, perché non avrà un nome sufficientemente famoso da proporre e quindi viene fatta la scelta più facile. Dovrebbe essere una rappresentazione disturbante come quando in Colazione da Tiffany, vediamo un attore bianco con il volto truccato per interpretare una persona di un’altra etnia. Questa dinamica va avanti da sempre ma fortunatamente ora si sta iniziando a parlarne”. Spiega Chiara Bersani.
Rari sono anche gli agenti di cinema e spettacolo che hanno nel loro parterre attrici o attori con disabilità in Italia. Donatella Franciosi, che segue sia Chiara Bersani che Claudio Gaetani, è una delle poche manager che si impegna nella promozione del loro lavoro.
Chiara racconta: “Donatella dice sempre: ma perché devo aspettare che arrivi un film in cui è pensata un’attrice in carrozzina? Perché Chiara non può candidarsi per tantissimi altri ruoli in cui sia una donna tra i 30 e i 40 del Nord Italia? Le persone in carrozzina fanno molti lavori nel nostro paese quindi perché se c’è una persona in carrozzina nel film allora tutto il film deve parlare di disabilità? Non è così la realtà, nelle nostre vite non parliamo sempre di disabilità. È una rappresentazione fuorviante della realtà”.
Per sollevare il tema della necessità di narrazioni più realistiche, l’evento di Milano prevede una tavola condotta da Marina Cuollo, scrittrice, speaker radiofonica e autrice di podcast, nella quale saranno presenti Marisol Agostina Irigoyen e Rosario Perazolo Masjoan rispettivamente attrice e autrice di Un metro e venti, – 4 feet high – serie argentina, visibile gratuitamente su ARTE realizzata con il supporto del Sundance Institute e presentata nel 2018 per Venice Virtual Reality alla Biennale di Venezia. Un metro e venti è un teen drama, in cui si parla di adolescenza, sessualità, ricerca di emancipazione, attraverso la storia di Juana, una ragazza di 17 anni interpretata da un’attrice con disabilità fisica e motoria. “Il tema della disabilità è presente – spiega Chiara – ma è solo una delle questioni. È una serie sull’adolescenza ed è secondo me la rappresentazione perfetta di come si possano trovare nuove narrazioni”.
Come potremo fare meglio? Il potere della collettività e della nostra presenza a sostegno degli altri
Nell’evento di lancio del report finale Time to Act, uno dei suoi autori, Jordi Baltà Portolés consulente, ricercatore e formatore in politica culturale e internazionale, riporta i tre interventi che si sono dimostrati efficaci per incentivare il progresso nell’inclusione di artisti e artiste e del pubblico con disabilità nel sistema dello spettacolo:
- La messa in atto di politiche culturali focalizzate su disabilità e accessibilità e sulle necessità delle persone.
- Il coinvolgimento dei gatekeeper del settore – curatori, produttori, agenti, istituti di formazione – per aumentare la loro consapevolezza nel promuovere la diversità.
- Creare guide pratiche e toolkit di più facile accesso. Attualmente questi materiali esistono ma non sono abbastanza conosciuti.
La ricerca è stata indirizzata ad un’ampia gamma di attori culturali nelle arti dello spettacolo nei 42 paesi europei compresi Regno Unito e Svizzera: teatri e festival, professionisti dell’arte e della cultura, finanziatori e altre tipologie di organizzatori culturali.
Tra i dati chiave emerge che solo il 16% delle organizzazioni intervistate ha dichiarato di avere una buona o eccellente conoscenza del lavoro di artisti e artiste disabili, mentre il 52% ha ne riportato una conoscenza molto ridotta.
È emerso anche il fatto che più spesso siano prese in considerazione le disabilità fisiche e meno le disabilità sensoriali o di altra natura.
Yohann Floch di On The Move spiega un elemento positivo della ricerca: Time to Act ha anche segnato un momento importante nella presa di consapevolezza da parte di molte organizzazioni coinvolte ed è stato un modo per aprire con loro un dialogo. Diverse istituzioni hanno espresso in questo dialogo sia il dubbio di non stare facendo abbastanza per aumentare li processo di inclusione che quello di non sapere con esattezza ciò che potessero fare per migliorare.
Il 45% degli enti intervistati pensa che la maggior parte dell’orientamento riguardo linee guida, istruzione e buone pratiche dovrebbe essere fornito dalle Fondazioni Artistiche, dagli Organismi di finanziamento nazionali, mentre il 42% ha dichiarato che tale formazione dovrebbe essere fornita dal Ministero della Cultura Nazionale. A presentare invece con frequenza regolare il lavoro di artisti disabili è il 28% delle organizzazioni incluse nel report, in modo irregolare il 53%,, mentre a non presentarlo o supportarlo è il 15%. La percentuale di organizzazioni che presenta da 1 a 3 produzioni di artisti disabili all’anno è invece il 22,4%.
L’inclusione è una questione di volontà che non sempre esiste: la ricerca ha evidenziato che il 31% di organizzazioni artistiche non cerca nuovi lavori di artisti disabili e il 48% non si sente a proprio agio con il fatto che i loro programmi siano accessibili per artisti disabili. E accade che anche gli artisti non siano così desiderosi di cambiare il loro lavoro per un pubblico disabile. Quindi il processo non ha solo bisogno di raggiungere le organizzazioni ma anche gli artisti e tutte le parti coinvolte nel sistema artistico. L’accesso sembra per il pubblico con disabilità sembra invece più supportato: i bagni accessibili a disabili sono il 72%,, gli interpreti del linguaggio dei segni sono presenti nel 42% dei casi, e nel 48% degli spettacoli sono previsti biglietti gratuiti o scontati per gli assistenti ad personam. Ma anche qui il progresso è ancora necessario: solo li 24% delle sedi ha uno staff istruito in politiche della disabilità, solo il 19% hanno siti accessibili, e solo il 12% dei canali di acquisto biglietti accessibili.
I festivals, i teatri e le organizzazioni intervistate dichiarano che la mancanza di fondi è tra le cause principali che impedisce loro di essere più inclusivi. Va anche detto che i Governi dei paesi europei hanno diversi approcci al mondo della disabilità e in generale più le politiche sono ambiziose più i fondi sono disponibili. Quindi il risultato è la combinazione è tra i due fattori: da un lato c’è bisogno che le organizzazioni siano proattive e abbiano volontà di mettere tra le loro priorità le politiche per persone disabili, dall’altro l’esigenza è quella di un sistema di finanziamenti che le supporti nel progresso.
Abbiamo chiesto anche a Chiara Bersani il suo punto di vista sugli aspetti sui quali si potrebbe lavorare in Italia per migliorare le politiche dell’inclusione nel sistema delle arti performative. “Io credo che l’Italia abbia un potenziale enorme di lavoro sulla collettività, appartiene alla cultura mediterranea e l’abbiamo dimostrato tante volte. Ma è qualcosa che stiamo mettendo in pericolo nel continuo tentativo verso un individualismo Nord Europeo che non ci appartiene. Per avere dei risultati nel breve periodo forse sarebbe sufficiente che il sistema teatrale italiano si allontanasse da una forma di individualismo che non è per noi sostenibile economicamente e ritornasse ad una forma di collettività più sostenibile, in cui le risorse sono meglio distribuite sulle progettualità, sui gruppi, per fare in modo che ci siano degli staff articolati e che si crei un sistema di sostegno di base che permetta alle persone con disabilità o con altri tipi di fragilità di muoversi sapendo che la loro tutela ha basi solide perché ci sono dei principi che sostengono sempre quella rete”.
E poi la necessità è di normalizzare la presenza delle persone disabili in tuti gli ambiti possibili.
“Inizio ad avere amiche disabili che sono insegnanti – racconta Chiara –e ne sono felicissima, perché quando io ho frequentato il liceo pedagogico mi veniva detto che non avrei potuto fare la maestra a causa della mia disabilità. Il fatto che oggi le cose stiano cambiando dimostra che se si rende il mondo accessibile, noi iniziamo a stare nel mondo e non serve fare tanti progetti, perché diventa una cosa normale. Rendendo visibili i nostri corpi nelle più varie professioni si inizia ad immettere nel nostro sistema di idee, di società, un senso di apertura e il concetto che le nostre esigenze si devono intrecciare con quelle delle altre persone”.
“E in questo che è un momento difficile, di guerra in Europa – conclude – è ancora più una priorità ripartire dalla questione educativa. Dobbiamo cambiare la domanda come stai? a come stiamo? Chiederci come stiamo tutti in questa collettività e come posso fare in modo che la mia presenza resti sempre a sostegno delle altre. Io credo che questa sia l’unica cosa concretamente fattibile in un tempo breve e che permetterà di cambiare le cose”.
In copertina: La compagnia con base londinese Candoco Dance Company in un momento di Set and Reset/Reset di Trisha Brown, che sarà presentato il 28 aprile al Teatro Carcano a Milano nell’ambito di Presenti Accessibili – foto Camilla Greenwell
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