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Essere padroni della scrittura. La comunicazione costruttiva nella narrativa.

Lug 10, 2023
comunicazione costruttiva nella narrativa

Scrivere è un apprendistato continuo e il raccontare sta “tutto nel tono della voce, nell’angolo di visuale”. Un apprendistato che mi porto dietro da sempre. Ricordo la mia maestra delle elementari, ogni tanto si avvicinava al mio banco annunciando alla classe: «Vediamo un po’ che cosa sta scrivendo Isabella 14/10 (aggiungeva sempre giorno e mese di nascita, avendo in classe una omonima cugina)» e io chiudevo di scatto il mio diario dei pensieri, imboscavo bigliettini per le compagne (“Piaccio a Giuseppe? – era un bambino con i capelli rossi che nemmeno mi guardava. Metti una X su sì o no”, e puntuale arrivavano i no).

Da grandicella invece ostentavo gli appunti. Prendevo appunti, poi facevo gli appunti degli appunti, infine gli appunti degli appunti degli appunti: bigliettini minuscoli che non usavo per copiare, o forse qualche volta sì, ma per memorizzare. Lo faccio tuttora. Parole, miliardi di parole.

Scrivo pure sui libri degli altri. Forse non tutti sanno che Umberto Eco scriveva con la penna sulle pagine dei libri. E lo faceva anche sui manoscritti del ‘600”. Ecco, io non arrivo a tanto, ma solo perché non ho i manoscritti del 600, ma a matita imbratto quasi tutti i volumi con pensieri e sottolineature.

Crescendo ho capito che le cose più complicate mi veniva meglio scriverle che dirle, così è iniziata la stagione dei flussi di coscienza. Bigliettini per tutti, natale, compleanno, ringraziamenti, scritti rigorosamente a mano. Persino i miei romanzi li scrivo a mano… perché lo scorrere dei pensieri è più immediato. Con lentezza. Con le cancellature, il disordine, le frecce e i rimandi che fanno parte della costruzione di un testo, di una pagina.

Si avverte il suono e il peso di ogni parola, che al computer con un clic svanisce. “Come al tocco di una bacchetta magica, le parole si trasformavano in pezzetti di un grande puzzle”, scrivo nel mio nuovo romanzo Come un fiore sul quaderno (Giraldi editore). Così anche nella vita.

Il valore delle parole

Ed ecco l’importanza delle parole. Come ribadisce Vera Gheno: “Grazie alla parola, noi prima di tutto ci definiamo ai nostri stessi occhi. Nel mezzo, accumuliamo cartellini per tratteggiare, con crescente precisione, la nostra identità: chi siamo? Cosa facciamo? Dove andiamo? La parola, inoltre, ci serve per nominare il mondo: chiamiamo ciò di cui abbiamo percezione in modo da poterne parlare, per narrare le nostre esperienze”.

È di Gandhi la famosa frase secondo la quale “i pensieri diventano parole, le parole diventano comportamenti, i comportamenti diventano abitudini, le abitudini diventano valori e i valori diventano il destino”. Mentre lo sceneggiatore e scrittore Ennio Flaiano diceva: “Io credo soltanto nella parola. La parola ferisce, la parola convince, la parola placa”.

Prima di loro, Don Milani – il sacerdote maestro di Barbiana, il tessitore di pace di cui quest’anno ricorrono i cento anni dalla nascita – sì era soffermato sulla centralità della parola, dandone una grande lezione. “Se un povero possiede la parola è come se possedesse la fionda usata da Davide contro Golia”. E aveva fissato delle regole dello scrivere: “avere qualcosa di importante da dire e che sia utile a tutti o a molti. Sapere a chi si scrive. Trovare una logica su cui ordinarlo. Eliminare ogni parola che non serve. Eliminare ogni parola che non usiamo parlando. Non porsi limiti di tempo”. Quello che dovremmo fare sempre noi giornalisti, noi scrittori, noi comunicatori.

E «se diventiamo padroni delle nostre parole, saremo automaticamente padroni di noi stessi; ci mostreremo più sicuri, più sereni, più carismatici». Sembra quasi fare eco Mariangela De Luca, giovane italianista e professoressa di liceo, ai più nota come vivace divulgatrice culturale, ha scritto La lingua parla (di te), edito da Sperling & Kupfer. Il linguaggio possiede, infatti, «una forza particolare, in grado di investire e far mutare in meglio i nostri rapporti sociali e lavorativi», e spesso la chiave del cambiamento risiede proprio nelle parole attraverso cui decidiamo di dare forma al nostro mondo e nel modo in cui scegliamo di raccontarlo a chi ci sta attorno.

Anne Hadley, una delle voci più apprezzate della saggistica americana e premio Pulitzer, ne Le nuove regole della scrittura aggiunge che “le parole sono i nostri emissari”. Quanto è vero; e quando sono scritte ancora di più perché rimangono a testimoniare il modo in cui comunichiamo (da una email, a un post, a un articolo, fino a un libro, saggio, guida o romanzo che sia).

Di qui il bisogno di recuperare quante più parole possibili, per fronteggiare quell’impoverimento della lingua italiana dovuto anche all’utilizzo di emoticon che sostituiscono i termini. E in rete si trovano numerose iniziative alla causa. C’è chi come Morgan Palmas nella sua Booksletter, ogni domenica, inserisce una nuova parola per sfidare noi stessi, con il supporto dell’enciclopedia Treccani. Tra queste l’aggettivo foràstico (lat. tardo forastĭcus “esterno”, der. di foras “fuori”) per indicare poco socievole, selvatico, rustico. Ancora Tregènda s. f. (lat. *transienda) passaggio, via di transito).

Dizy.com, dizionario pratico con curiosità e informazioni utili, è una risorsa interessante per chi si cimenta con la scrittura in ogni forma. Sinonimi e contrari, anagrammi, definizioni da cruciverba, coniugazioni, modi di dire, proverbi, riferimenti culturali (film, libri, canzoni).

Tutto questo perché precisione delle parole è una forma di rispetto verso gli altri essere umani, è la ricerca della verità. E la verità è la vera rivoluzione. Così mi piace sottolineare nei libri anche i passaggi legati alle parole, quella letteratura emotiva capace di catturare lo sguardo e lasciare il lettore, la lettrice, “schiavizzati” dalla pagina.

Qui ne riporto alcuni, tratti dagli ultimi romanzi letti, di quelli che lasciano emozioni.

– Ma tu davvero ci credi? – chiese, seria.
– A che cosa?
– A quello che hai detto sul palco. Alle cose sulla patria e sulle femmine.
Mi succhiai un labbro, esitai: – Non lo so. Non ci avevo pensato.
– È una cosa pericolosa.
– Che cosa?
– Le parole, – rispose. – Le parole sono pericolose se le dici senza pensarci.
– Sono solo parole, – cercai di ridere perché la sua faccia cominciava a farmi paura e non volevo litigare. Ma lei mi fissava: – Non lo sono mai.

La Malnata di Beatrice Salvioni (Einaudi)

«Tutto ciò che per lui avesse mai contato erano le parole. Ogni cosa esisteva realmente solo quando veniva nominata e formulata in parola. Non l’aveva deliberatamente scelto, gli era capitato ed era stato così fin dall’inizio… Faceva esperienza delle cose solo quando le afferrava per il tramite della parola, diceva talvolta, e allora la gente lo guardava incredula. Solo con Livia non aveva avuto mai bisogno di parole».

Il peso delle parole di Pascal Mercier (Fazi editore)

Ho capito che alcune parole funzionano come le biglie di vetro che usavo da ragazzina sulla spiaggia. Ti rotolano dentro tracciando una pista che tu non conosci, non puoi fare altro che assistere alla loro corsa fino al punto di arresto.

Corpo a Corpo di Elena Mearini (Arkadia)

C’è qualcosa nelle parole che, di per sé, comporta un rischio, una minaccia, e non è vero che il vento se le porta via facilmente come dicono. Non è vero. Può succedere che gli echi di certe cose dette, perfino le più banali, rimangano per molti anni come in letargo, a palpitare debolmente in un angolo della memoria, in attesa dell’opportunità di tornare al presente per puntualizzare e correggere ciò che a suo tempo non era del tutto chiaro, e spesso con un’eloquenza e una rilevanza notevoli, molto superiori a quelle che avevano in origine.
 
Pioggia sottile di Luis Landero (Fazi Editore)

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Isa Grassano
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