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Economia al femminile: a che punto siamo?

Mag 19, 2021
Economia al Femminile

Patrizia Vigiani, originaria di Firenze, vive da molto tempo in Germania, dove esercita la professione di traduttrice e interprete. Dopo il manuale Forex trading per comuni mortali, che ha riscosso un ampio successo di pubblico e di critica, esordisce con un’opera di narrativa ambientata fra i grattacieli di Francoforte: Alex – un giallo valutario. Un volume che offre lo spunto per parlare di economia al femminile.


Patrizia, anche in questo ultimo libro parli, seppur non in modo esclusivo, di economia, una materia che è sempre sembrata appannaggio del sesso maschile. Un passo avanti in questa direzione è stato fatto lo scorso dicembre, quando la Società italiana degli economisti ha cambiato il nome in Società italiana dell’economia – il 45% dei soci è di sesso femminile – ma, secondo te, la parità di genere è ancora lontana in questo ambito e, se sì, perché?

Patrizia Vigiani


A livello di mentalità, la parità di genere è lontana: quando si parla di temi economici, ancora oggi il pubblico tende a fidarsi più di una voce maschile. Questo pregiudizio deriva dalla lentezza con cui la mentalità si trasforma, rispetto alla velocità con cui può essere modificata la normativa. Se a cambiare le leggi sono necessari soltanto gli anni, per cambiare la mentalità occorrono più ricambi generazionali. È la mentalità a far sì che le donne siano in minoranza nei consigli di amministrazione e vengano ancora percepite come depositarie del lavoro domestico. È la mentalità a spingere le donne verso indirizzi di studio che non sfociano in lavori ben pagati: benché la maggior parte delle laureate siano donne, le laureate in materie scientifiche ed economiche sono in minoranza. È un peccato anche in termini di Cultura, perché l’Economia non è un tema astratto, ma una materia che riguarda la vita di tutti i giorni. Una corretta educazione finanziaria aiuta per esempio a capire come viene stabilito il prezzo delle merci, mettendoci in grado di decidere se vogliamo pagare quel prezzo o no. Vi siete mai chiesti a che cosa è dovuto il prezzo spropositato dei beni di lusso e a quale logica rispondano i saldi di fine stagione? In questi fenomeni si nascondono leggi economiche di cui tutti dovrebbero essere consapevoli.


Come si può fare una comunicazione efficace e chiara per tutti su una materia che per i più appare ostica?


Purtroppo il linguaggio degli esperti, e spesso anche quello giornalistico, è colmo di tecnicismi che non aiutano il pubblico ad avvicinarsi alla materia. A tale proposito c’è chi pensa che le elite finanziarie usino appositamente termini incomprensibili affinché le masse non si rendano conto di inghippi che altrimenti non sarebbero disposte ad accettare. Se tutti i consumatori, per esempio, comprendessero le logiche a cui si conformano i prezzi dei beni di consumo, starebbero più attenti quando fanno la spesa o lo shopping. Da parte mia ho cercato di usare un linguaggio divulgativo, correndo consapevolmente il rischio di semplificare eccessivamente la materia: ma è un rischio che volevo prendere pur di informare il pubblico su un tema importante come la natura e la distribuzione del denaro.


Tu hai tentato di farlo attraverso un libro mescolando sapientemente il genere thriller a quello rosa senza tralasciare, ovviamente, l’aspetto finanziario. Cosa possono imparare i lettori dalla storia che racconti in termini economico-politici?


Il sottotesto economico-politico del romanzo ha per oggetto la storia dell’euro e come i governi europei siano riusciti ad affermare questa valuta, affacciatasi improvvisamente sulla scena mondiale, come valuta di riserva internazionale. Spero che queste informazioni aiutino il pubblico a farsi un’idea fondata di che cosa è il denaro in generale, di ciò che è una valuta di riserva e di cosa è l’euro. Si tratta di informazioni indispensabili per potere operare le proprie scelte, sia a livello politico, sia a livello di carriera e sviluppo personale.


A tuo avviso, nelle nuove generazioni aleggia, almeno in Italia, un senso di sfiducia verso la politica e l’economia dal momento che si parla di crisi fin dal 2008?


Il senso di sfiducia che colpisce le nuove (e anche le vecchie) generazioni è dovuto alla mancanza di lavoro. Nel nostro sistema economico è impossibile fare una vita dignitosa senza lavoro, lavoro che viene normalmente offerto dall’industria manifatturiera, dallo Stato e dal terziario. In Italia l’industria manifatturiera va meglio di quanto si creda, ma è presente soltanto su una parte del territorio (l’Italia settentrionale). Per coloro che vivono al centro o al sud, lo sbocco lavorativo più sicuro è quello offerto dallo Stato. Purtroppo i governi italiani degli anni ’90 non hanno sostenuto l’industria: perché la tradizione dei mobilifici italiani è stata travolta da un gigante come l’Ikea? Il fatto è che a quel tempo si puntò molto sul settore finanziario che poi è andato nel 2008 in una crisi da cui non si è più ripreso. In questo momento l’Italia sta scontando gli effetti di quelle scelte.


In Germania si respira un’aria diversa?


La Germania ha vissuto negli ultimi vent’anni un periodo di prosperità, dovuto alla robustezza dell’industria manifatturiera. I governi tedeschi non hanno mai puntato sulla deindustrializzazione a favore del terziario finanziario e hanno sempre sostenuto l’industria, da cui vengono i posti di lavoro. Si tratta di una prosperità gravata da problemi: non tutti hanno un lavoro stabile e ben pagato, il lavoro interinale e il precariato dilagano. Per non parlare degli effetti della pandemia, che sta mandando sul lastrico imprenditori grandi e piccoli. A questi problemi il sistema risponde con numerosi ammortizzatori sociali: sistema scolastico che indirizza tutti verso un mestiere, cassa integrazione, reddito di cittadinanza, job center, sussidi di disoccupazione, generosi assegni familiari, assistenza medica capillare. È a causa di questo mix fra occupazione e assistenza sociale che qui c’è meno sfiducia nello stato.


Infine, per concludere tornando al tema iniziale “donne ed economia”, sin dai tempi antichi viene affidato al genere femminile il compito di gestire l’economia domestica, mentre l’uomo era impegnato su altri fronti: ritieni che per affrontare un cambiamento sia necessario un punto di vista diverso che evidenzi i limiti del sistema economico com’è oggi strutturato e vada a puntare l’attenzione sulla persona, sulle sue relazioni sociali, sull’ambiente circostante e sulle generazioni future senza fermarsi alle mere logiche di profitto e di mercato?


Il sistema economico vigente nelle democrazie occidentali è basato sull’ideale liberista (la libera affermazione delle forze di mercato), mitigato da correttivi di intervento statale. Il libero mercato è infatti un sistema che, senza i correttivi, finisce per generare monopoli, sfruttamento e degrado ambientale. I tradizionali correttivi a disposizione dello stato sono il sistema scolastico (che dovrebbe fornire a tutti gli strumenti per essere consapevoli della realtà economica e la possibilità di accedere a un lavoro), l’imposizione fiscale, gli ammortizzatori sociali e la normativa ecologica. Purtroppo questi correttivi non funzionano come dovrebbero, forse perché lo stato non vi investe fondi sufficienti: esempio classico di questo fallimento è il sistema scolastico, che non riesce a incanalare le nuove generazioni verso una vita dignitosa. Anche il fisco non funziona: come è possibile che monopoli come Amazon e Google riescano a sottrarsi a un’equa imposizione fiscale? Per quanto riguarda la normativa ecologica, siamo soltanto agli inizi: dobbiamo abituarci all’idea che le risorse ambientali abbiano un prezzo e farlo pagare a chi le sfrutta. Secondo me la soluzione non consiste nel rifiutare la logica di mercato, ma nel potenziare i correttivi, allo scopo di evitare i monopoli, lo sfruttamento e il degrado ambientale. Occorre anche ripensare l’idea di industria manifatturiera: l’industria del futuro non dovrà essere un’industria schiava del profitto, ma votata a sfruttare le risorse in modo sostenibile. In futuro abiteremo case che non hanno bisogno di riscaldamento e guideremo auto elettriche, anche se non sono queste le auto con cui l’industria fa più profitti. In questo contesto sarebbe anche auspicabile una riforma del sistema monetario a favore di una distribuzione più equa (o più intelligente in termini di investimento) del denaro e del credito.

Francesca Ghezzani
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