La diversità è una caratteristica intrinseca della natura e della società. Contraddistingue l’esistenza della specie vivente ed è fondamentale per la vita vegetale, animale e umana.
Tuttavia, in termini di umanità, nel corso della storia l’accoglienza nei confronti di questo tema non è sempre stata positiva. Spesso la diversità ha innescato e innesca ancora oggi reazioni di paura e di razzismo.
Il manifesto della diversità e dell’unità umana
Così, per dare prova scientificamente dell’uguaglianza tra gli esseri umani, è stato pubblicato tempo fa il Manifesto della Diversità e dell’Unità Umana, un documento pubblicato da un gruppo di studiosi per testimoniare l’errore sociale, scientifico e culturale di ogni forma di intolleranza e per far comprendere il significato della diversità e uguaglianza umana.
Diffuso a livello internazionale e pubblicato anche dalla rivista Nature, il Manifesto sottolinea che
“Il principio fondante della nostra società civile è riconoscere a tutti la stessa dignità e gli stessi diritti […]. L’umanità è una rete di persone che aggregandosi in gruppi sociali in comunicazione tra loro e in continuo cambiamento nel tempo, mescolano le loro idee e il loro patrimonio genetico […].
La diversità umana è un valore e una ricchezza”
Dunque, questo testo afferma fortemente il principio di uguaglianza e l’unità del genere umano contrapponendosi al Manifesto della razza del 1938.
L’uguaglianza di cui parla il Manifesto della Diversità e dell’Unità Umana implica ovviamente il rispetto della diversità, argomento di cui si sente parlare ancora, soprattutto nella nostra realtà moderna così veloce e mutevole.
Il mondo della disabilità
Viviamo in una società che smantella vecchie idee e vecchi modelli per ricostruirne di nuovi, ma c’è ancora qualcosa che non funziona. Non sempre, infatti, si affronta il tema della diversità con una narrazione costruttiva e con dialogo, e sono ancora molti i pregiudizi e i substrati culturali che rallentano la costruzione di un’altra visione, più libera e umana.
Soprattutto quando si parla di disabilità, la diversità prende forme poco costruttive: spesso chi ha una disabilità viene percepito dall’altro come diverso e non viene valorizzato nelle risorse, ma osservato solo nei limiti.
Urge quindi un cambio di prospettiva per modificare gli schemi di pensiero e le convinzioni che molte persone hanno a proposito della disabilità.
È necessario il lavoro costante e su più fronti di una comunicazione efficace e di un’informazione corretta, ma anche di modelli che raccontino la disabilità in modo rinnovato.
Solo così i lettori e la società possono conoscere veramente da vicino “il mondo della disabilità”, che non è altro che “il mondo delle persone”.
Raccontare la disabilità sui social

Su questo argomento lavora sui social da alcuni anni Silvia Calcavecchia, blogger, content creator e speaker motivazionale. Lei racconta la disabilità in termini propositivi e più realistici, e lo fa con costanza e soprattutto tanta creatività e ironia.
Silvia, nel 2020 hai fatto un TedX a Reggio Emilia dal titolo Vivo, quindi posso, raccontaci un po’ di te…
La mia vita non è iniziata con il piede giusto perché il giorno della mia nascita a causa di una mancanza di ossigeno ho avuto una paralisi cerebrale infantile che ha compromesso in maniera irreversibile la coordinazione dei movimenti.
Successivamente, all’età di 22 anni, ho scoperto di avere una malattia degenerativa agli occhi. Nonostante queste disabilità non ho mai mollato e ho sempre cercato di raggiungere i miei obiettivi.
Mi sono laureata in Lettere all’Università di Palermo e mi sono specializzata in Giornalismo e cultura editoriale all’Università di Parma.
Naturalmente, non sono mancati i momenti di difficoltà ma li ho sempre affrontati di petto!
Quando e perché hai sentito il bisogno di parlare di disabilità sui social?
Ho iniziato a raccontarmi nel 2017 sulla mia pagina Instagram. All’inizio provavo disagio a mostrarmi ma poi ho capito che la mia storia poteva essere di ispirazione e di aiuto per le altre persone e che io potessi essere quel qualcuno che quando ero più piccola mi è mancato.
Ho iniziato a capire, grazie ai feedback della gente, che potevo mettere a disposizione la mia storia, usare la mia voce per abbattere stereotipi, tabù e pregiudizi relativi al mondo della disabilità, senza tralasciare il femminile.

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Sissiland, uno spazio creativo
Da cosa nasce Sissiland?
Tutti mi hanno sempre chiamato Sissi, da qui deriva il nome Sissiland che ho dato alla mia pagina Instagram e Facebook.
Questo spazio virtuale nasce dalla mia voglia di volermi raccontare e di mettermi in gioco. Racconto infatti la mia vita quotidiana con le sue difficoltà, ma racconto anche passioni e interessi, come i viaggi, la pittura e la sostenibilità, racconto la possibilità di superare i nostri limiti.
Nell’estate del 2021 ho sentito il bisogno di esprimermi in maniera diversa, oltre alla scrittura e fotografia. Colori, pennelli e una tela bianca sono state le prime cose che mi sono venute in mente.
Ho sempre saputo che la pittura sarebbe stata un’altra delle tante forme con cui avrei desiderato esprimermi ma fino a quel momento avevo sempre rimandato.
Quando ho dipinto la mia prima tela, mi sono sentita leggera e libera. Eravamo io e le mie emozioni, le stesse emozioni che fino ad allora avevo esternato solo con le parole adesso uscivano sotto una nuova forma ed è stato qualcosa di bellissimo.
Qualche anno prima ho aperto anche un blog con il nome Sissiland in cui parlo di crescita personale e lifestyle. Sissiland è anche uno spazio di dialogo e confronto. È il mio mondo, uno spazio per far vedere la mia essenza.
Secondo te, qual è il modo migliore per raccontare la disabilità in modo costruttivo?

Far vedere le cose da un altro punto di vista!
Ci sono i limiti, ma anche le soluzioni. Spesso di fronte agli ostacoli pensiamo che essi siano insormontabili.
Io voglio far capire che i limiti possono essere superati e che le cose possono essere guardate da altre angolature.
Ciò che fa la differenza è il modo in cui reagiamo agli eventi della vita e il modo in cui li guardiamo.
E poi, il modo migliore per raccontare la disabilità è far vedere che prima di essere una persona con disabilità, sono una persona.
Quindi, la disabilità non è qualcosa che mi identifica ma è una delle tante caratteristiche che mi rende ciò che sono. Questo è il modo costruttivo per narrare la diversità!
Cambiare il linguaggio per parlare di disabilità
Cosa si può fare in termini di comunicazione?
È necessario normalizzare la disabilità e far capire che essa, in qualunque forma, è una ricchezza.
E questo lo si può fare con l’uso delle parole corrette. C’è bisogno di formazione e di informazione perché più se ne parla, meno la gente ha paura o ha pregiudizi legati a questa realtà.
Dobbiamo parlare di disabilità senza pietismo. Espressioni come “costretto a stare sulla sedia a rotelle” sono totalmente sbagliate.
La carrozzina è uno strumento per muoversi con più libertà, diciamolo forte e chiaro!
Quindi, un modo costruttivo per parlare di disabilità è utilizzare un linguaggio corretto e inclusivo.
Non usare espressioni come “handicappato”, “diversamente abile” ma persona con disabilità perché pone l’accento sulla persona e non sulla disabilità.
Cosa pensi si possa realizzare in termini di inclusione aziendale?
Bisogna inserire persone con disabilità e iniziare a vedere la diversità, di qualunque genere, come una risorsa, perché persone diverse possono condurre a diversi punti di vista.
È necessario che gli edifici siano accessibili e poi bisogna permettere alle persone con disabilità di mettere a disposizione delle aziende le proprie risorse.
I tuoi progetti futuri?
Sono diretti verso questa direzione. Voglio sensibilizzare l’opinione pubblica su questi temi e continuerò a lottare per raccontare le persone con disabilità e il loro diritto di fiorire.

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