La parola “crisi”, mette in crisi. Spaventa, divide. Al punto che, negli anni, si è cercato di darle significati diversi pur di addolcirla, estrapolandoli anche da lingue che non ci appartengono: famosa l’interpretazione, ad esempio, secondo la quale in giapponese dovrebbe (condizionale d’obbligo, dato che ci sono diverse scuole di pensiero) significare “opportunità”. È però complesso assorbire in profondità un significato che, di fatto, non ci appartiene né per idioma né per cultura morale. Rimane lì, in superficie, pronto a essere usato nei momenti in cui sentiamo maggiormente la necessità di rincuorarci (o rincuorare). In ogni caso, quando la parola crisi ci mette in crisi nel sentirla o nell’avvertirla, anche le nostre lingue antenate -latino e greco- ci vengono in aiuto (anche se sembrano avere un po’ meno appeal): il termine “crisi”, infatti, deriva dal greco “krisis” che significa scelta, decisione. Un’accezione che ci pone davanti a una domanda diretta: cosa fare?
Se questo vale per qualsiasi tipo di crisi, lo teniamo in considerazione anche per quanto riguarda il settore dell’editoria italiana, settore in cui si è iniziato a parlare di crisi (economica, ma non solo) nel 2008, un anno dopo che, in Italia, Facebook ebbe la sua più grande esplosione di successo, esplosione che non solo non si è placata ma che ha dato vita a tutta una serie di altri Social, che hanno influenzato molto l’andamento del settore editoriale. Secondo l’Associazione Italiana Editori, il 2010 è stato l’anno in cui è iniziato il calo peggiore per il mercato del libro nostrano, con una perdita di più di duecentoquaranta milioni di euro negli anni successivi.
Crisi dell’editoria: esiste una soluzione possibile?
Nonostante siano passati diversi anni, l’editoria sembra non aver ancora trovato una soluzione a questa mancanza di orientamento: è, anzi, una realtà che subisce duramente i colpi dei repentini cambiamenti sociali e che sembra essere obbligata a scoprire, ogni giorno, nuove tecniche per sopravvivere all’ennesimo rischio di soppianto. Ecco, allora, che il mondo editoriale si ritrova costantemente a farsi quella domanda di cui sopra: cosa fare?
Prima, però, facciamo chiarezza. Cerchiamo di capire quali sono i mondi che muove l’editoria e cosa significa, all’interno di ognuno di essi, la presenza di una crisi.
Quando parliamo di editoria facciamo riferimento in particolare:
- all’industria del libro, che muove editori, scrittori, tipografi, librai. Altresì tocca agenti letterari, grafici, illustratori, lavoratori della carta;
- al settore del giornalismo, che riguarda redazioni, giornalisti, tipografie, edicole, agenzie pubblicitarie, agenzie di uffici stampa, agenzie web.
Va da sé che la crisi economica arriva, in primis, dal netto calo che c’è stato, negli ultimi quindici anni, del “prodotto editoriale”, dunque giornali e libri. Un problema che affonda le sue radici nel numero di lettori che, in Italia, sembra assottigliarsi sempre di più: nel 2022 si è portato ai minimi storici rispetto agli ultimi venticinque anni, registrando una percentuale del 39 per cento sulla popolazione (nel 2020 era il 41, nel 2021 il 40).
Va sottolineato un dettaglio: pur pensando, per stereotipo, che siano i giovani i meno interessati alla lettura, la percentuale resiste proprio grazie a loro; gli studi pubblicati mettono in evidenza, nel 2022, una quota maggiore di lettori tra i più giovani (fino ai ventiquattro anni) e i giovanissimi (tra gli undici e i quattordici anni). La narrativa per bambini e ragazzi, infatti, sembra essere la punta di diamante dell’editoria italiana. Vi è un 10 per cento di scarto, infine, tra uomini e donne: quest’ultime leggono di più.
Di contro, crescono le case editrici: è infatti in continuo aumento la loro nascita rispetto al numero dei libri comprati. Ergo, ci sono più scrittori che lettori. E già di per sé, questa, potrebbe essere una prima risposta al motivo per cui nel mondo dell’editoria vi è crisi: non solo diminuisce la domanda, ma aumenta l’offerta. Si tratta di numeri, è una formula matematica: il significato morale del legame con la lettura, quindi, perde leggermente di potere. Uniamoci, poi, l’emergenza dovuta alla difficoltà di reperire la carta e il consequenziale aumento dei costi e quindi dei prezzi finali per gli acquirenti.
Analizzare la situazione, comunque, ci fa tornare alla nostra domanda: che fare, dunque?
L’Associazione Italiana Editori ha proposto, attraverso la pubblicazione di un documento, diverse possibili soluzioni. Proviamo a capirne alcune.
- Far fronte alla crisi della carta. Sembra banale sottolinearlo, ma spesso lo si dimentica: libri e giornali sono fatti di carta. L’aumento esponenziale dei costi della carta (dovuto alla crisi energetica) riguarda editori e tipografi, che sono le colonne portanti del prodotto editoriale. L’Associazione chiede il credito di imposta già previsto per giornali e periodici.
Molto aiuterebbe, possiamo aggiungere come riflessione, se la raccolta differenziata fosse fatta per bene specialmente per una materia come la carta, tra i materiali più semplici da riciclare. Ergo, un approccio più etico all’ambiente aiuterebbe anche la cultura. Particolare come punto di vista, no?
- Valorizzare maggiormente il diritto d’autore. L’editoria soffre di un alto livello di plagio e pirateria: molti autori, infatti, lamentano di non sentirsi tutelati dalla legge italiana in materia di copyright.
La qualità dei testi prodotti, in effetti, ha una grande responsabilità rispetto ai lettori: un autore (uno scrittore, un giornalista…) se non si sente tutelato nelle sue produzioni non sarà stimolato a fare del suo meglio. Un discorso che ben si lega, inoltre, anche alle leggi che dovrebbero tutelare i lavoratori della penna in materia di pagamenti e contratti: anche in merito a ciò, lo scrittore non si sente rispettato e, per tanto, non è invogliato a garantire un lavoro fatto bene (un problema che prevale nel settore giornalistico).
- Maggiori sostegni per l’acquisto di beni e servizi culturali. La proposta dell’Associazione parla chiaro: le famiglie e i singoli cittadini vanno aiutati per poter far fronte alle spese “culturali”. Come abbiamo sottolineato, i prezzi si sono alzati e non è più possibile per tutti acquistare libri nuovi o abbonamenti ai periodici.
Chi aiutare concretamente?
Bambini e ragazzi leggono, i dati parlano chiaro. Sono però le famiglie e le scuole che devono sostenere questo trend affinché non vada morendo per cause economiche. Quanto è vero che i più giovani sono interessati alla lettura, è vero anche che il futuro dell’editoria e più in generale della cultura di un Paese non è allora così negativo. Ecco perché il Governo dovrebbe incentivare alla lettura attraverso aiuti economici che vadano oltre i bonus erogati durante il periodo scolastico (quindi dai diciotto anni in su).
Un maggior aiuto economico, possiamo aggiungere, andrebbe dato anche alle biblioteche -che detengono un sapere infinito-, alle librerie indipendenti (oggi sottomesse alle leggi del mercato per le quali vincono le major dell’editoria) e alle edicole. Quest’ultime sono sparite del 25 per cento dei Comuni italiani. Questo significa che un Comune su quattro è senza un’edicola: anche volendo acquistare un giornale, non passa forse la voglia all’idea di doversi fare trenta, quaranta chilometri per raggiungere l’edicola più vicina?
Tirando le fila, ci rendiamo conto che quella dell’editoria è un’industria strettamente correlata a tante altre. E, soprattutto, legata a molte altre tematiche che, in effetti, andrebbero affrontate singolarmente: i giovani, la scuola, i sostegni statali, la carta, il commercio locale, il turismo, l’informazione. E anche per questo il settore dell’editoria va preservato: non solo (anche se sarebbe sufficiente) perché simbolo della cultura di un Paese, ma anche perché, insieme a essa, rischieremmo di perdere tanti altri punti di riferimento. E in prospettiva futura, non possiamo assolutamente permettercelo.

La rubrica è ideata e curata da Sabrina Falanga, giornalista, editrice e autrice.
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