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Riabitare i luoghi: comprendere la “restanza”

Set 11, 2023
Restanza

Se è vero, come è vero, che il giornalismo costruttivo guarda ai problemi concentrandosi sulle forme di soluzione in campo, si può sostenere che esso trova terreno fertile nel vasto campo delle persone “restanti”. Si tratta, in particolare, di persone animate da innovativo senso dell’abitare o del riabitare i luoghi. Al centro del fenomeno ci sono i luoghi delle radici e dei legami e, più in generale, quelli da rigenerare e di cui prendersi cura con ingegno e amore: tutto ciò, nonostante la dimensione problematica dettata, ad esempio, dallo spopolamento dei paesi, dalla marginalità delle zone interne, dal degrado delle periferie, eccetera.

Il “senso di comunità” e la “restanza”


Emergono, dunque, i concetti-chiave indagati dal giornalismo-costruttivo: l’inventiva e la creatività umana, le forme di resistenza e adattamento a fronte delle difficoltà, il valore dei legami e del senso del “noi”. Centrale, inoltre, il “senso di comunità” caratterizzato da progettualità condivisa, da motivanti sentimenti di appartenenza, dalla forza delle relazioni come “capitale sociale” per la sopravvivenza e per un nuovo impegno civico. Elementi approfonditi nel recente saggio-manuale “Inversione a U. Come il giornalismo costruttivo può cambiare la società”, Do it human Editori, a firma di Assunta Corbo, direttrice di News48.it, e Mariagrazia Villa, giornaliste fondatrici della rete del giornalismo e della comunicazione di taglio costruttivo Constructive Network.
Più in dettaglio, questo approccio giornalistico può trovare applicazione rispetto ai fenomeni sociali e culturali riconducibili al termine “restanza” messo a fuoco dall’antropologo calabrese Vito Teti, già professore ordinario di antropologia culturale all’Università della Calabria, studioso molto impegnato sul terreno dell’antropologia e della letteratura dei luoghi.


Nel suo saggio “La restanza”, pubblicato nel 2022 per Einaudi editore, Vito Teti offre a più riprese definizioni di questo fenomeno per sua natura complesso. Spicca in particolare un’umanità assai lontana dall’immobilismo, da una visione passatista e puramente nostalgica e statica dei luoghi. Il pensiero e l’analisi antropologica in questione vanno infatti alla “gente che, pur senza istruzioni per l’uso, afferma una restanza come stile di vita, come la propria forma dell’abitare, come atto politico, come resistenza ai fenomeni di devastazione dei luoghi, come possibilità di rigenerarli”.
“Il mio – scrive Teti – non è un elogio del restare come forma inerziale di nostalgia regressiva, non è un invito all’immobilismo, ma è solo il tentativo di problematizzare e storicizzare le immagini-pensiero del rimanere come nucleo fondativo di nuovi progetti, di nuove aspirazioni, di nuove rivendicazioni”.
La “restanza” rimanda quindi non alla “fissità”, ma al viaggio come metafora, come necessità umana. Chi resta si sente spesso “spaesato”, non si riconosce nelle pratiche di degradazione dei propri luoghi; la “restanza” è “il sentimento di chi àncora il suo corpo ad un luogo e fa diaspora con la mente”; è il sentimento della fiducia e dell’amore per quei luoghi, ma è anche volontà e scelta “quasi sempre lacerante, dolorosa” di chi muove passi coraggiosi sulla strada del cambiamento.
Tutti aspetti, questi, ben intercettabili dal giornalismo costruttivo. Un giornalismo che descrive i modi in cui si affrontano gli aspetti problematici della vita raccontando in parallelo il “cammino” umano lungo i percorsi il più delle volte tortuosi, non lineari, che portano alle soluzioni o ai tentativi di soluzione, tra limiti e punti di forza.

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I giovani per la “restanza”


L’occhio del giornalismo delle soluzioni sulla restanza presta quindi attenzione alle associazioni, ai pezzi di comunità “resistente”, alle reti di azione e di divulgazione, a progetti di ricerca, a realtà editoriali, agli spazi culturali, formativi, di aggregazione; racconta le forme di impresa volte a innovare il lavoro e a creare connessioni sociali con territori spesso marginalizzati.
In questo spazio di indagine possono rientrare le frange di giovani delle aree interne col desiderio di non andare via dalla propria terra. In particolare, può far riflettere quel 67 percento di giovani – rispondenti alla ricerca condotta dall’Associazione Riabitare l’Italia su un campione di mille persone di età compresa tra i 18 e i 39 anni – orientato a restare sulla base di alcune motivazioni principali: il forte legame con la comunità, la possibilità di contatti sociali gratificanti, la qualità di vita considerata migliore.
Lo studio, dal titolo “Giovani dentro”, è citato da Vito Teti nel suo saggio “La restanza”, ma anche dal sociologo Filippo Barbera e dalla sociologa Joselle Dagnes, nel loro contributo per il libro a più voci “Contro i borghi. Il Belpaese che dimentica i paesi”, Donzelli Editore, a cura di tre docenti universitari: lo stesso Barbera, professore ordinario di sociologia economica all’Università di Torino; Domenico Cersosimo, professore ordinario di economia regionale all’Università della Calabria; Antonio De Rossi, professore ordinario di progettazione architettonica e urbana al Politecnico di Torino.

I paesi oltre i “borghi-cartolina”


Quest’ultimo saggio, in particolare, richiama un’esigenza sentita da tante umanità “restanti”: andare oltre la narrazione dominante dei “borghi-cartolina” focalizzata soltanto sui bei “contenitori” per la fruizione turistica. L’idea è quella di valorizzare, invece, i “paesi” che secondo questa prospettiva rimandano più in profondità ai contesti, alle comunità con la loro dimensione quotidiana dell’abitare; una dimensione fatta di legami, di relazioni, di conflitti, di difficoltà, di domanda di beni e servizi oltre il turismo e a prescindere dal turismo, più o meno occasionale, che da solo non può bastare per il rilancio dei luoghi.
Punti di vista degni di nota per un giornalismo volto a esplorare la restanza di chi dà o vuole dare valore e risposte costruttive ai luoghi dell’abitare, compresi quelli considerati “brutti” secondo i canoni estetici di certo imperante marketing turistico.
Alla ribalta, quindi, una grande fetta d’Italia spesso dimenticata, del Sud come del Nord: i paesi, ma anche le periferie, le zone rurali e le aree montane abbandonate e degradate.
Più in particolare, si possono evidenziare modelli di soluzione basati sulla necessità di migliorare sanità, assistenza sociale, infrastrutture. E spiccano le aspirazioni di cui vuol prendersi cura dei luoghi per un’economia della vivibilità quotidiana, per la rigenerazione dei territori sul piano sociale e della tutela ambientale, per diritti di cittadinanza da affermare anche in “periferia”, ai “margini”, per altri bisogni e altri sogni, per altre visioni di benessere e sviluppo.

Francesco Ciampa
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