Rispetto al passato le abitudini del vivere e quelle della socializzazione sono notevolmente mutate. Ricordo i racconti di mia nonna: Nessuno stava da solo, la sera ci riunivamo e ci raccontavamo il trascorso della giornata o storie del passato.
Abbiamo tutti un po’ l’idea di queste famiglie riunite formate da uomini, donne, bambini, vicini di casa, e perché no, anche animali. Immagini lontanissime dal nostro presente ma che fotografano interi pezzi di storia e di vita.
E oggi? Sicuramente, la rivoluzione digitale ha favorito la possibilità di mettersi in contatto con più persone ma non necessariamente, attraverso il social o il web, si incontra l’altra persona.
E quando parlo di incontro intendo sottolineare l’avvicinarsi all’altro da un punto di vista emotivo e trasmettergli calore umano, quella disponibilità verso il prossimo, quella generosità d’animo di cui mi parlava mia nonna.
La modernità ci ha permesso di essere più connessi ma non meno soli! Inoltre, ad incrementare la solitudine, sono stati sicuramente anche i cambiamenti culturali e socio-demografici. I soggetti più fragili e maggiormente colpiti da questi cambiamenti sono gli anziani.
Molte persone invecchiando, rimangono da sole. Vedovi senza figli o con figli all’estero o in città lontane, oppure persone che non hanno nessuno che si occupi della loro assistenza.
Cohousing: un nuovo modo di vivere l’abitazione
Il cohousing rappresenta una soluzione sociale utile ad ovviare il problema della solitudine.
Nasce nel nord Europa negli anni Settanta ed è un’evoluzione delle case collettive svedesi degli anni Cinquanta, afferma la community organizer Chiara Casotti durante un Tedx a Modena.
Queste case hanno aiutato le donne che iniziavano ad inserirsi nel mondo del lavoro a conciliare quest’ultimo con la cura della famiglia. Quindi nascono come una soluzione pratica alle esigenze della vita.
Il termine è di origine anglosassone e significa abitare collaborativo. Si tratta di una comunità intenzionale in cui più famiglie diverse per tipo, età, provenienza culturale, decidono di andare ad abitare vicino per collaborare tra loro.
È una coabitazione tra famiglie o singoli intorno a un progetto condiviso. Nelle abitazioni ci sono spazi comuni, cucine che favoriscono l’incontro e la relazione, salotti con televisioni, orti, giardini, aree giochi, lavanderie, spazi creativi, aree di assistenza medica.
Le persone che lo hanno scelto come soluzione abitativa hanno delle loro abitazioni, ma, appunto, condividono spazi interni ed esterni in base alle loro esigenze. Inoltre, i ruoli e le responsabilità vengono ripartiti in maniera equa.
Il Cohousing in Italia
In Italia arriva negli anni duemila e si sviluppa in Lombardia, Piemonte, Toscana, Emilia Romagna e molti sono il frutto di iniziative private.
Purtroppo, i numeri in Italia sono inferiori rispetto al Nord Europa, questo dipende da aspetti culturali e burocratici, ma anche nel nostro Paese si stanno facendo passi avanti.
A tal proposito, qualche anno fa la Rete Italiana dei Villaggi Ecologici, la Rete Italiana Cohousing, la Rete Europea SALUS e CONACREIS hanno elaborato una proposta di legge al fine di riconoscere l’abitare collaborativo, di cui l’Ecovillaggio Lumen costituisce un importante esempio.
“Nel 1992 abbiamo acquistato un grande cascinale nella pianura padana […]. Siamo un fiorente Ecovillaggio in cohousing formato da ben 63 persone, siamo diventati un network di realtà lavorative basate sulla salute naturale dell’uomo e dell’ambiente, insegniamo naturopatia e sani stili di vita in tre sedi (Piacenza, Milano, Padova) […] laddove c’erano abbandono e incuria, dopo 21 anni è stato costruito uno tra i più popolosi villaggi”
scrive Federico Palla, Coordinatore Tecnico per il progetto europeo SALUS di cui Lumen è capofila.

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Parlare di cohousing anche in termini di legge e riconoscere giuridicamente le comunità intenzionali significa intraprendere un percorso utile ai cittadini e alla nazione.
Un’importante conquista è stata realizzata con il Decreto interministeriale dell’11 luglio 2022 (ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il ministro della Salute e con il ministro per le Pari Opportunità e la Famiglia) attraverso cui sono stati indicati i requisiti minimi relativi ai progetti di coabitazione delle persone che hanno superato i 65 anni di età in condizioni di difficoltà economica.
E la nuova legge 33/2023 prevede tra gli altri obiettivi, interventi volti a favorire la socializzazione e la valorizzazione degli anziani, e nuove forme di domiciliarità come, per l’appunto, il co-housing.
Esistono poi altre forme di abitare collaborativo come i condomini solidali, le cooperative di abitanti, coabitazioni solidali.
Vantaggi e svantaggi del Cohousing
Il cohousing è una modalità abitativa idonea per i soggetti più fragili, come anziani e bambini. C’è un equilibrio tra il rispetto della privacy e la vita comunitaria.
Il senso di appartenenza è molto forte e lo si percepisce anche dal design delle abitazioni. È una soluzione sostenibile sia a livello ambientale, perché si ridimensionano i consumi in eccesso, c’è un forte contatto con la natura e molte aree vengono riqualificate con un modello eco-sostenibile, sia a livello sociale perché favorisce la socializzazione e lo sviluppo di valori quali il sostegno e la condivisione, sia a livello economico perché la condivisione dei beni e servizi permette di risparmiare sul costo della vita e di ridurre gli sprechi.
Infine, c’è un forte scambio interculturale e generazionale e quindi la relazione diventa il centro dello sviluppo individuale e collettivo. Gli svantaggi invece, sembrano essere pochi: vivere in comunità richiede maggiore energia e una costante capacità di dialogo per affrontare problemi o controversie.
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