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Caregiver: la cura è un valore sociale

Giu 14, 2021
caregiver

“L’epidemia di COVID-19 ha avuto un profondo impatto sull’organizzazione delle attività cliniche e socioassistenziali rivolte alle persone con demenza e ai loro caregiver. Nel corso della fase emergenziale dell’epidemia, la maggior parte dei Centri per i Disturbi Cognitivi e le Demenze (CDCD) presenti sul territorio nazionale ha dovuto interrompere o limitare fortemente l’erogazione di attività specialistiche, assicurate esclusivamente ai pazienti in situazioni di urgenza. La cancellazione degli appuntamenti per visite specialistiche, la chiusura dei CD (Centri Diurni), le limitazioni imposte ai servizi di assistenza domiciliare, il sovraccarico della Medicina Generale, hanno ostacolato l’attuazione di una gestione integrata della persona con demenza, fondamentale ai fini di un’adeguata presa in carico dei principali bisogni di salute e assistenza. Allo stesso tempo, durante i primi mesi della pandemia, sono stati sviluppati e affinati interventi da remoto che hanno consentito di identificare situazioni di rischio, monitorare le condizioni cliniche delle persone con demenza, fornire supporto ai caregiver, garantire la comunicazione tra paziente/caregiver e gli operatori sanitari e sociali coinvolti nella rete assistenziale. L’epidemia ha quindi suggerito come l’adozione di interventi da remoto affidabili e sostenibili possa costituire un’opportunità per migliorare e semplificare il processo di presa in carico e favorire la continuità delle cure”. Questo è quanto è riportato nel rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità 23 Ottobre 2020.


Da qui inizia la riflessione sulla figura del caregiver, ossia la persona che durante la pandemia ha dovuto provvedere all’assistenza e alla cura di un altro essere umano per lavoro o perché è un parente e o amico, per un arco di tempo maggiore rispetto a periodi che hanno preceduto la pandemia.
“Si definisce caregiver familiare la persona che assiste e si prende cura del coniuge, dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto ai sensi della legge 20 maggio 2016, n. 76, di un familiare o di un affine entro il secondo grado, ovvero, nei soli casi indicati dall’articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, di un familiare entro il terzo grado che, a causa di malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé, sia riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ossia titolare di indennità di accompagnamento ai sensi della legge 11 febbraio 1980, n. 18. (Legge di Bilancio 2018)”.
A questo punto occorre distinguere il caregiver familiare dal caregiver professionale, ossia colui o colei che svolgono una professione a sostegno di queste persone fragili perché queste ultime non sono in grado di prendersi cura di sé per motivi cognitivi o limitazione fisiche. I professionisti dell’aiuto sono psichiatri, psicologi, sacerdoti e assistenti sociali.

Il caregiver familiare


Il caregiver familiare, invece, si prende cura di queste persone fragili per motivi affettivi e lo fa con grande amore e affetto. Svolge un lavoro di cura usurante che non dovrebbe essere così, questo problema è dovuto alla carenza nei servizi sociali, legge n.205 del 2017.
In particolare, si occupa dell’organizzazione e supervisione della cura, sostegno psicologico, relazione affettiva, supporto per mantenimento relazioni sociali, supporto pratiche amministrative, supporto alla persona per la vita quotidiana, igiene e ambienti.
Questa situazione ha causato un aumento delle difficoltà di cura, quindi, un peggioramento psico-fisico della persona assistita causa lockdown ma anche del caregiver stesso per l’ansia e la depressione in aumento.
Crescente preoccupazione su come affrontare emergenza e situazioni di proprio eventuale contagio.
A rincarare la dose anche la sofferenza per il mancato contatto con propri cari e l’aumento impatto isolamento sociale.
Occorre tener conto anche dell’impoverimento professionale perché alcune persone hanno dovuto ridurre le ore di lavoro per assistere i propri cari.
Riduzione di rapporti con i colleghi, difficoltà di accesso a formazione e aggiornamento professionale, perdita di conoscenze ed esperienze nel mercato del lavoro, limitate opportunità di promozione.
Rete caregiver, progetto a sostegno dei caregiver, e la società cooperativa che si occupa di welfare assistenziale e inclusione sociale, si occupano della qualificazione dei caregiver familiari, delle assistenti familiari e degli operatori socio-sanitari. La situazione verificatasi durante il Covid-19 è la seguente:
Il 66% dei caregiver ha dovuto lasciare il lavoro
Il 10% ha chiesto il part-time
Il 10% ha dovuto cambiare mansione.
I caregivers che abbandonano il lavoro per prestare cura sono fuori dal lavoro mediamente fino a 10 anni e affrontano barriere considerevoli per reinserirsi.

La necessità di riconoscere un ruolo


Oggi il tema dei caregivers familiari si presenta in tutta la sua drammaticità causata da una inadeguata rete di sostegno da parte delle politiche sociali in ogni parte d’Italia tranne alcune iniziative isolate a carico delle Regioni che continuano ad avere grandi ostacoli nella rimozione di questi e nella piena applicazione della legge n.328/2000 o legge quadro per l’Assistenza e il Sistema integrato dei servizi socioassistenziali.
Il caregiver familiare necessita, quindi, di essere riconosciuto nel suo ruolo:
• hanno necessità di ricevere informazione e conoscenza sulla attività da svolgere, sulla malattia, sui servizi;
• devono essere aiutati a comprendere di poter svolgere un ruolo diverso da quello abituale e al quale devono essere educati;
• hanno bisogno di sostegno assistenziale e psicologico;
• hanno bisogno di servizi di sostegno alla al domicilio, di servizi di sostegno alla conciliazione
• hanno bisogno di sollievo e di servizi per fare fronte alle proprie emergenze.


Occorre menzionare anche una dimensione etica che riguarda alcuni aspetti:

Responsabilità: In quale misura devo prendermi cura? Quanti e quali sacrifici è giusto fare? A cosa sono tenuto e cosa voglio poter fare?

Equità familiare: Quanto e come condividere responsabilità di cura? E se gli altri componenti della famiglia non se ne fanno carico? Come agire?

Conflitto tra le aree di impegno familiare: Come fare fronte ai diversi obblighi verso i diversi componenti del proprio nucleo familiare? Quali limiti sono sostenibili ad es. verso i figli minori o adolescenti?

Autodeterminazione di chi riceve cura: sapere ciò che vuole chi riceve cura fino a che punto si conoscono e rispettano le sue volontà?

La cura: un valore sociale


La cura è sempre stata considerata un’attività prettamente familiare, privata, con benefici legati al solo ambito domestico mentre invece bisognerebbe riconoscerne il valore sociale.
Attraverso alcuni passaggi: l’ascolto, la narrazione, la sensibilizzazione, il riconoscimento del ruolo, l’identificazione e infine attraverso le politiche attuative.
In questo contesto si inseriscono le iniziative della dott.ssa Rita Leone che lavora come Responsabile sportello ascolto e supporto immigrati extracomunitari a valere sul fondo Fa.Mi.min.int. per la Fondazione Città solidale Catanzaro. Lei sta avviando uno studio privato di servizio sociale anche on line che eroga servizi soprattutto nel campo anziani non autosufficienti e caregivers familiari. Inoltre, è titolare di due associazioni “Aipros” Associazione interregionale professionisti del sociale a tutela dei diritti umani e “Punto di incontro” Asd Catanzaro volta alla divulgazione del “Metodo Reborn” per il benessere psicofisico olistico naturale dei caregivers familiari.


La dott.ssa Leone nella lunga intervista ci lascia intravedere soluzioni a portata di mano per i caregiver familiari avendo maturato una precedente esperienza ventennale nel mondo olistico e infatti con la sua Asd ‘Punto di incontro” Olos’ con sede in Catanzaro si dedica attivamente alla progettazione e divulgazione di percorsi motivazionali e di benessere psicofisico individuali e sociali a favore dei caregiver familiari. Oggi l Asd propone un percorso integrato ‘Reborn Project’ Nato dalla naturale evoluzione di un sano mix di discipline olistiche a cui viene affiancato il counseling o ascolto attivo e la pianificazione di attività a domicilio per i caregivers.


Tra le attività proposte ci sono:

  • laboratori creativi
  • sedute shiatsu
  • sedute individuali di hatha yoga
    -sessioni di meditazione e respirazione controllata
  • attività all’aperto/passeggiate meditative/etc -sessioni di coaching per famiglie.


Infine, l’Associazione “Punto d’incontro” fondata sempre da Rita Leone, ha sede a Catanzaro e propone percorsi di benessere individuale e sociale, laboratori motivazionali e coaching della creatività.

Mariella Roberto
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