Ormai da diversi anni, cerco di comprendere le motivazioni che spingono tanti giovani ad avvicinarsi alle challenge (sfide pericolosissime) che spopolano sui social network.
Le mie ricerche recenti hanno messo in luce come, molto spesso, manchino alle nuove generazioni gli strumenti per comprendere le implicazioni del proprio agire social e attuare un percorso che li porti ad acquisire una piena autonomia individuale. Le challenge che ho avuto modo di analizzare comportano diversi rischi.
Tanti ragazzi continuano ad essere insoddisfatti e cercano di colmare i loro vuoti attraverso la rete.
La fragilità è uno dei motivi principali legati all’insoddisfazione: deriva da una iper rappresentazione di sé. Dalla mia ultima ricerca, relativa alle dinamiche comunicative social, una delle caratteristiche principali che emergono è l’individualismo, la concentrazione sulla propria vita. Voler offrire una certa immagine di sé agli altri attraverso i social network, giungendo anche limiti estremi e impensabili.
I giovani e le insicurezze di una generazione
I giovani vivono le loro insicurezze affidandole ad un continuo bisogno di approvazione. Ho molto apprezzato quanto ha scritto nei suoi testi, davvero appassionanti il professore di filosofia dell’Università di Berlino, di origine coreana, Byung-Chul Han, che nel suo libro “Le non cose – Come abbiamo smesso di vivere il reale” ci spiega appunto come abbiamo perso il contatto con il reale per vivere nel virtuale.
Nel virtuale emerge l’emotività di preadolescenti e adolescenti. Vogliono comunicare attraverso i loro profili social e, alcune volte, per ottenere gradimento sono disposti a tutto.
Qualche tempo fa si è tanto discusso della “Bus Surfing Challenge”. A Milano alcuni autobus sono stati assaltati da adolescenti, cosi come i camion dell’AMSA. Ragazzi che si avvicinano ad un pullman in corsa, o fermo, e si aggrappano al mezzo. Utilizzano il paraurti dell’autobus come supporto per i loro piedi e sfidano la sorte.
Qualche settimana fa un caso ha commosso l’Italia intera. Una tragedia ha colpito la città di Roma, dopo lo scontro violento tra un SUV e una Smart. L’incidente ha causato la morte di un bimbo di cinque anni. La vittima stava viaggiando con la madre e la sorellina di tre anni lungo via Archelao di Mileto, nella zona tra Acilia e Casal Palocco.
A quanto pare le persone a bordo del SUV sono state distratte dai loro telefoni per registrare video caricare sul loro canale di YouTube. La challenge “50 ore in Lamborghini”, cosi si chiama, ha interrotto la vita di bambino.
I giovani youtuber, TheBordeline questo il nome del gruppo, si sono filmati dentro l’auto per portare a termine la loro nuova impresa. La folle competizione prevede che si rimanga sempre a bordo della macchina, compresa la notte, evitando di scendere e di speronare le altre autovetture.
Boat jumping, l’ultima follia
L’ultima folle sfida si chiama “Boat jumping” ed è in tendenza sui principali social. La sfida consiste nel saltare dalla barca, in mezzo alla schiuma causata dal motore della barca, spinta a grande velocità.
Quattro sono i morti negli Stati Uniti. L’impatto con l’acqua equivale a sbattere contro un muro e può essere fatale. Nonostante ci siano già le prime vittime, tuffarsi dai motoscafi in corsa rimane il trend del momento.
Il capitano Jim Dennis della Childersburg Rescue Squad ha dichiarato ad una tv locale della California, come riportato dal Daily Mail, che negli ultimi sei mesi sono avvenuti quattro annegamenti facilmente evitabili ed ha aggiunto: “Stavano facendo una sfida su social. È quando sali su una barca che va ad alta velocità, salti giù e fondamentalmente ti pieghi quando arrivi a contatto l’acqua. I quattro di cui parliamo, quando sono saltati fuori dalla barca, si sono letteralmente rotti il collo. Praticamente sono morti all’istante”.
Non è facile oggi leggere la società senza porre i giusti accenti su quanto sta accadendo. La pandemia prima e la guerra dopo hanno fatto emergere in modo, quasi esplosivo, processi che sono in atto da tempo come conseguenza dell’impatto delle tecnologie in tutti processi sociali. Non mancano fenomeni caratterizzati da comportamenti violenti e aggressivi che riguardano in modo particolare il mondo degli adolescenti, basti pensare al cyberbullismo, al bullismo, al sexting, al body shaming e tanti altri che hanno come protagonisti proprio i giovani.
In tutti questi atti è ravvisabile in parte quello che potremmo definire un disimpegno morale e un’incapacità di relazionarsi con l’altro.
Rispettare le regole significa attuare un processo di interiorizzazione che porta anche all’evoluzione delle regole stesse, ma in un quadro condiviso e non in un Far West di sopraffazioni e soprusi nei confronti degli altri.
Un continuo consumismo emozionale allontana molti ragazzi dalla vita di tutti i giorni, perché si rifugiano in dimensioni parallele. Basti pensare al Metaverso e a quanta violenza si manifesta anche all’interno di questo universo virtuale.
Papa Francesco ha incontrato oltre 12mila giovani al Papp Laszlo Budapest Sportarena e ha detto loro: “È importante che ci sia qualcuno che ascolti le vostre domande e che vi aiuti a sfidare senza paura l’avventura della vita in cerca di risposte grandi. Il silenzio non è per incollarsi ai cellulari e ai social. No, per favore. La vita è reale, non virtuale, non avviene su uno schermo, ma nel mondo. Per favore, non virtualizzare la vita. Lo ripeto: non virtualizzare la vita che è concreta”.
Parole forti, quelle del Papa, su cui dovremmo riflettere. Noi adulti dovremmo non comportarci da “adultescenti” (adulti che fanno gli adolescenti, immaturi e poco propensi a svolgere il loro ruolo da educatori e non da amici) per costruire “ponti” con le nuove generazioni. Non possiamo aspettare che la cronaca ci presenti altri eventi drammatici, ma dobbiamo essere in grado di aiutare gli uomini e le donne di domani a comprendere il valore del dialogo, della condivisione e del rispetto della propria e altrui vita.
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